La completa neutralizzazione di Hamas è un obiettivo essenziale non solo per la sicurezza di Israele, del suo confine meridionale (e bisogna ricordare che i kibbutzim che sono stati attaccati si trovano in una zona del Neghev che non è mai stata neanche ipoteticamente assegnata ad uno Stato palestinese, in quanto nella risoluzione ONU del 1947 erano già parte di Israele), ma anche e soprattutto per il processo di pace in Medio Oriente.
Appare ormai chiaro che il pogrom di Hamas del 7 ottobre abbia avuto come mandante l’Iran e fosse rivolto a bloccare il processo di pace tra Israele e l’Arabia Saudita, passaggio finale dei cosiddetti accordi di Abramo, che hanno già normalizzato le relazioni diplomatiche di Israele con il Bahrein e con gli Emirati Arabi Uniti. La pace con l’Arabia Saudita segnerebbe un risultato storico, ponendo fine alla storica ostilità fra Israele e il mondo arabo sunnita. Proprio per questo motivo, una simile prospettiva è ferocemente avversata dall’Iran, antagonista strategico dell’Arabia Saudita nella regione mediorientale e nel mondo islamico. L’Iran ha quindi assunto in modo del tutto strumentale il patronato della “causa palestinese”, manovrando come propria pedina Hamas. È certo singolare questo rapporto tra la potenza islamico-sciita e una formazione terroristica arabo-sunnita, ma è il preciso risultato dell’isolamento di Hamas nel mondo arabo.
I paesi arabi – l’Egitto, l’Arabia Saudita, la Giordania, gli Emirati del Golfo – anche se non potranno mai dichiararlo ufficialmente, in questo momento sperano vivamente che Israele riesca effettivamente a sradicare Hamas da Gaza. Sono significative le dichiarazioni che la casa dei Saud, non potendo esporre né il sovrano, né il principe ereditario, ha affidato a un altro membro della casa reale, il principe Abdulrahman bin Mosaad. Costui, rispondendo al discorso di Nasrallah, leader di Hezbollah, che aveva parlato di un “Asse della Resistenza” a fianco ai palestinesi, che andrebbe da Teheran a Gaza passando per il Libano, ha detto che questo Asse della Resistenza è solo una grande bugia ed è l’espediente propagandistico di cui si serve l’Iran per accrescere la propria influenza nella regione.
È chiaro che in questo momento sauditi, egiziani e giordani devono pubblicamente solidarizzare con i palestinesi, ma una volta eliminato il problema Hamas, non ci sarebbero più ostacoli alla ripresa dell’iter degli “Accordi di Abramo” e al conseguimento di un risultato storico per la pace in Medio Oriente. È anche per questo – oltre che naturalmente per lo choc del 7 ottobre – che la risposta israeliana è così decisa: se Israele non riuscisse a sradicare effettivamente Hamas da Gaza mostrerebbe ai paesi arabi moderati la propria debolezza nei confronti di un estremismo palestinese fomentato dall’Iran e questo sì che bloccherebbe forse definitivamente l’appeasement con l’Arabia.
Chiarita dunque l’estrema importanza di una effettiva neutralizzazione di Hamas, esaminiamo pure gli ostacoli che si frappongono verso il conseguimento di questo obiettivo. Il primo di essi dovrebbe essere naturalmente l’Iran stesso, ma l’Iran, una volta usata come sua pedina la stessa Hamas, non ha più una reale possibilità di salvare il suo burattino. Gli Ayatollah hanno armato Hamas solo quel tanto che bastava a minacciare Israele; ben poco in confronto al loro vero partner privilegiato, che è Hezbollah (Hezbollah dovrebbe avere almeno dieci volte il numero di missili di Hamas e soprattutto dovrebbe trattarsi di armi ben più letali). Hezbollah, tuttavia, non può essere sacrificato con l’apertura di un secondo fronte in Libano, perché a quel punto, oltre alla reazione israeliana, ci sarebbe da mettere in conto anche quella statunitense. Il discorso di Nasrallah ha chiarito inequivocabilmente che Hezbollah non andrà in guerra contro Israele e si limiterà alle consuete scaramucce al confine. Il deterrente americano, con il notevole dispiegamento di forza aeronavale fra il Mediterraneo Orientale e il Golfo Persico, funzionerà anche nei confronti degli altri paesi intenzionati, per motivi diversi, a silurare il processo di pace arabo-israeliano: la Turchia e la Russia. Al di là delle azioni di disturbo, dei discorsi e dei dispetti diplomatici, Erdogan e Putin non sono in condizione di salvare Hamas.
I veri problemi sono altri. Il primo riguarda l’assenza di una chiara strategia del governo Netanyahu per il dopoguerra, una carenza che è stata più volte rilevata dalla stessa Amministrazione americana: chi e come gestirà Gaza? Hamas riceverà un colpo durissimo nelle prossime settimane, ma potrebbe sempre riorganizzarsi se non fosse trovata una soluzione definitiva per Gaza. L’ipotesi di Blinken di affidarla ad una ANP “rivitalizzata” è poco credibile, visto che l’ANP ha perso qualsiasi credibilità nella popolazione palestinese e non ha più dal 2007 una propria presenza a Gaza. I paesi arabi sono riluttanti ad assumere la gestione del Territorio. Israele aveva inizialmente dichiarato che non avrebbe avuto più alcuna parte nella gestione di Gaza (dopo il ritiro dalla Striscia, nel 2005, Israele ha continuato ad assicurare alla popolazione elettricità, acqua, viveri, internet, assistenza sanitaria e permessi di lavoro, per poi venir accusata di “genocidio”), anche se i governo Netanyahu pare aver cambiato idea, forse in risposta al fantasioso piano di pace di Blinken, e ha affermato ultimamente che Gaza resterà sotto il suo controllo militar. In sostanza c’è grande confusione sulla exit strategy e questa confusione rende incerto l’obiettivo di un reale sradicamento di Hamas.
Il secondo importante ostacolo sulla strada della pace in Medio Oriente sono proprio i “pacifisti”. Tutti coloro che chiedono in questi giorni il cessate il fuoco, stanno lavorando alla sopravvivenza di Hamas e quindi stanno lavorando contro la pace. Alcuni sono “pacifisti” proprio con questa doppia e più o meno segreta intenzione. Altri lo sono in “buona fede”. Questi ultimi dovrebbero convincersi che la storia mostra come il pacifismo non abbia mai evitato le guerre e talora invece abbia contribuito a causarle (esemplare la vicenda degli anni Venti e Trenta, fino al 1938). Neutralizzare Hamas significa riprendere la strada degli Accordi di Abramo e quindi di una reale pace tra Israele e i paesi arabi. Una pace che è a sua volta l’unico autentico presupposto per una soluzione della “questione palestinese”, una questione che Hamas, Jihad islamica e Iran intendono invece mantenere indefinitamente e tragicamente aperta (è l’eterno gioco degli estremisti che agitano obiettivi che non possono, né vogliono raggiungere).
Lo sradicamento di Hamas ha purtroppo il suo costo in termini di vittime civili, come ogni guerra. Chi ha un minimo di onestà intellettuale non può tuttavia avere dubbi su chi abbia la responsabilità di questi morti, fra chi organizza pogrom e chi risponde a quei pogrom, fra un esercito che, caso unico nella storia militare, avverte sistematicamente e a più riprese i civili di sgomberare le aree che si appresta a colpire e un’organizzazione di fanatici criminali che usa gli ospedali come proprio quartier generale e il suo stesso popolo come “scudo umano” per impietosire chi è nobilmente, ma ingenuamente, pietoso.
=========================================
Questo blog richiede un lavoro di studio e di ricerca per mantenere un adeguato livello di serietà. Il sito ha anche dei notevoli costi fissi. Se apprezzi i contenuti che propongo offri una donazione
. con bonifico bancario sul conto IT 13 R 05387 15100 000000217060 intestato a Angelo Michele Imbriani (causale: DONAZIONE)
. con carta di credito, cliccando sul link a paypal oppure su “Donazione” e selezionando uno dei pulsanti che appariranno con l’importo che vuoi donare.
Grazie!
https://www.paypal.com/donate?hosted_button_id=S8NRRANRKDMUN