La storia non è solo la disciplina più maltrattata sui social. La storia è oggetto di un infame rito collettivo che si consuma quotidianamente sui social. La storia è vittima di uno stupro di massa.
Gli stupratori della storia li riconosci subito, senza neanche entrare nel merito della panzane che scrivono. Essi ripetono immancabilmente il luogo comune secondo cui “la storia la scrivono i vincitori”. E parlano di una “storia ufficiale” a cui bisognerebbe contrapporre la “vera storia”, quella che i libri “scritti dai vincitori” non raccontano.
Solo chi non ha mai studiato la storia e soprattutto non ha mai studiato la storia della storiografia può pensare che “la storia la scrivono i vincitori” e può parlare di una “storia ufficiale”.
Quando si studia seriamente la storia della storiografia ci si imbatte subito in una vicenda paradigmatica. Alla fine della I guerra mondiale effettivamente i “vincitori” cercarono di scriverne la storia, attribuendo tutte le responsabilità agli sconfitti. Un tentativo che abortì sul nascere. A parte il fatto che tra gli sconfitti vi erano molti dei maggiori storici del tempo, si era verificato un piccolo “incidente di percorso” in uno dei paesi che originariamente faceva parte della coalizione dei vincitori. C’era stata la rivoluzione russa. E in Russia i rivoluzionari aprirono gli archivi dello zar. E gli archivi mostrarono che la questione delle responsabilità nello scatenamento del conflitto era più complicata e che se gli uni erano colpevoli, gli altri non erano innocenti (ovviamente gli stupratori della storia in un archivio non ci sno mai entrati e pensano che la storia si faccia con i documentari su You Tube). La vicenda è paradigmatica, perchè mostra l’impossibilità di scrivere una “storia ufficiale dei vincitori”. Primo, perchè gli sconfitti difficilmente sono del tutto sterminati e ridotti al silenzio; secondo, perchè i vincitori non sono vincitori in eterno e talora neanche molto a lungo; terzo, e decisivo, perchè i vincitori non sono un blocco compatto, perchè tra i vincitori vi sono immancabilmente tensioni e conflitti e questi conflitti vivificano il dibattito storiografico.
Ci sono pochissimi casi di “storia ufficiale” e tutti hanno avuto vita molto breve. Nell’URSS, ad esempio, fu scritta una storia ufficiale della Rivoluzione d’Ottobre e del Pcus e venne attribuita, pseudoepigraficamente a Stalin, ma non sopravvisse alla “destalinizzazione”.
Parlare poi di una “storia ufficiale” del Risorgimento italiano, come fanno regolarmente gli stupratori in questione, e ovviamente per loro si tratta di una storia manipolata e falsificata, è veramente ridicolo. Al primo esame di Storia del Risorgimento – non so ora, ma una volta sì – ti mettevano fra le mani il volume di Maturi sulle “Interpretazioni del Risorgimento”. Un volume di oltre 700 pagine, una rassegna da capogiro delle varie e spesso contrapposte “storie del Risorgimento”. E queste 700 pagine si fermavano agli anni Cinquanta, per cui oggi se ne dovrebbero aggiungere altre 700. Rievocare episodi come quello di Bronte, per sostenere che è “la storia che i libri di scuola non raccontano” significa proprio non aver mai aperto un libro di scuola, perchè Bronte sta su tutti i decenti manuali scolastici. E significa non aver mai aperto neanche un libro di letteratura italiana, perchè Verga dedica a Bronte una delle sue più famose novelle.
Scoprire il cojnvolgimento della massoneria nella storia dell’Unità d’Italia significa essersi persi il capitolo sulle società segrete che si trovava un tempo su qualsiasi buon sussidiario. Pensare che questa influenza abbia “determinato” il corso della storia italiana significa che sarebbe stato meglio fermarsi alla “storia e gloria della dinastia dei paperi”, sui Topolino di una volta, e non improvvisarsi storici. Alimentare ancora la leggenda nera dei Rotschild, dopo che settant’anni fa l’ha smontata Hannah Arendt ne “Le origini del totalitarismo” e l’ha smascherata come un fondamentale capitolo della storia dell’antisemitismo, significa rendersi complici di questa storia immonda. E se non se ne è consapevoli è ancora peggio.
Potrei continuare a lungo.
Concludo dicendo che non posso assistere impassibile allo scempio di una disciplina che per me non è solo materia di studio e di lavoro da 40 anni, ma è una sorta di appassionata compagna di vita e che soprattutto è decisiva nel formare cittadini critici e uomini liberi.