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letture critiche del tempo presente

QUALE LAICITA’ PER LA SCUOLA?

Mi ha molto colpito un’affermazione di Gabriele Boccaccini sull’idea di laicità e, in particolare, sulla laicità nella scuola.

Gabriele Boccaccini, sia detto per inciso, è uno dei massimi studiosi del giudaismo del Secondo Tempio, dei rapporti fra il giudaismo stesso e il nascente cristianesimo (o, come sarebbe meglio dire, della nascita del cristianesimo come corrente del giudaismo) e anche dell’apostolo Paolo. È toscano di nascita, di famiglia ebraica (ha avuto familiari deportati ad Auschwitz) e dal 1992 insegna negli USA, nella facoltà di Studi Giudaici dell’Università del Michigan.

Boccaccini sostiene che la laicità della scuola non dovrebbe intendersi come “escludente”, ma come “inclusiva”, inclusiva di tutte le religioni e su un piano di parità. Non bisogna scambiare questa “inclusività” con quella che viene spacciata come tale dal politically correct, perché ciò di cui parla Boccaccini è qualcosa di molto più serio. Ma su questo ci torno più avanti.

Il ragionamento di Boccaccini mi ha colpito e mi ha anche indotto a rivedere ciò che ho pensato per decenni sulla laicità della scuola, ha prodotto in me una vera metanoia. Ho sempre inteso la laicità della scuola nel senso “escludente”, come del resto è per lo più intesa in Italia. Ed è ben comprensibile, vista la presenza invadente nel nostro paese del Vaticano e della Chiesa cattolica, intesa come istituzione. Ma l’opinione pubblica laica – che non coincide affatto con l’area atea o agnostica, ma comprende credenti, cristiani di altre confessioni o anche cattolici, nonché ebrei – dovrebbe avere il coraggio di fare un bilancio: a che cosa ha portato questo principio “escludente” di laicità? Innanzitutto, non è stato poi così “escludente”, perché la Chiesa cattolica ha mantenuto il controllo dell’insegnamento e degli insegnanti di religione nella scuola pubblica (reclutati dai vescovi e pagati dallo Stato) e a poco serve il diritto di “non avvalersi” delle famiglie e degli alunni, che per lo più resta nei fatti solo teorico. Ma soprattutto si sono avute queste conseguenze: la scuola, lungi dal contrastarla, ha contribuito alla diffusissima ignoranza del fenomeno religioso, ignoranza della storia e delle caratteristiche delle varie religioni, in particolare dell’ebraismo e dello stesso cristianesimo nelle loro diverse articolazioni (Boccaccini nota tra l’altro l’insopportabile pregiudizio per cui in Italia “cristiano” è considerato spesso sinonimo di “cattolico”); la scuola ha concorso a mantenere la popolazione italiana in una condizione di analfabetismo biblico; ha alimentato una indifferenza nei confronti della religione che non è affatto espressione di una società secolarizzata, ma di una società vuota e superficiale. Che cosa ha a che vedere tutto questo con le pur sacrosante battaglie per la laicità? Forse che laicità significa banalizzare il fenomeno religioso, ridurlo a caricatura o a passiva adesione conformistica a ciò che viene tramandato nella propria famiglia o nel proprio ambiente sociale? Forse che laicità significa respingere Dio o la prospettiva della fede, significa cacciare Dio dalla società e quindi dalla scuola, sulla base di pregiudizi e di una sostanziale ignoranza di ciò che Dio e la fede rappresentano? O laicità dovrebbe significare indifferenza, noncuranza, dovrebbe significare non porsi neanche il problema di Dio, della religione e della fede? Evidentemente, la nostra prospettiva “escludente”, pur con tutte le sue originarie e sacrosante motivazioni, ha fallito i suoi scopi. Non è che abbia prodotto il “laicismo” o l’”ateismo”, come vorrebbero certi settori cattolico-reazionari: ha piuttosto contribuito ad un indifferentismo, ad una superficialità, che hanno l’ignoranza a proprio fondamento.

Quale è allora la proposta di Boccaccini? Come la si deve intendere? Va detto che Boccaccini si trova da ormai trent’anni in un luogo di osservazione privilegiato, negli USA, che continuano a rappresentare il miglior modello di regolamentazione dei rapporti fra lo Stato e le diverse religioni. Includere tutte le religioni nella scuola pubblica non significa affatto, come purtroppo si tende a pensare qui da noi, poter fare il presepe o recitare i canti di Natale e nel contempo consentire agli studenti islamici di pregare nei locali scolastici durante il Ramadan. Non significa affatto che ci debba essere nella scuola pubblica un “catechismo” per ogni fede religiosa. La scuola – lo sottolinea lo stesso Boccaccini – non deve fare catechismo. La scuola deve invece introdurre nel proprio insegnamento istituzionale la storia e l’identità delle varie religioni, a cominciare certamente dall’ebraismo e dal cristianesimo (nelle loro diverse confessioni o articolazioni) – e quindi a cominciare dalla Bibbia – ma comprendendo in questo studio l’islam, così come le religioni del mondo antico e tardo-antico o le religioni di civiltà non occidentali.

Le religioni, tuttavia, non solo devono essere incluse tutte, ma anche su un piano di parità.  Questo principio non ha niente a che vedere, ancora una volta, con la retorica del rispetto delle minoranze politically correct

È infatti per altri motivi che va respinta la rivendicazione di un primato della religione cattolica, nella scuola, fondato sul fatto che essa è teoricamente, molto teoricamente, la religione della maggioranza degli italiani. A scuola – almeno in una scuola seria – non si privilegia nell’insegnamento ciò che pensano o credono i più. Anzi, il pensiero critico si giova proprio del confronto con ciò che credono e pensano quelli che, almeno nella propria realtà di vita, sono “i meno” e non “i più”. Inoltre, una stessa formazione cattolica – qualora fosse quella che vogliono gli studenti e le loro famiglie – non ha che da guadagnare dalla conoscenza delle altre prospettive di fede. L’epoca della chiusura, motivata da paura e da intolleranza, ossia l’epoca della Controriforma, nelle sue peggiori espressioni, dovrebbe essere finita da un pezzo e, quantomeno dopo il Concilio Vaticano II, i cattolici dovrebbero essere ormai trattati da adulti e non tenuti in uno stato di minorità. E in effetti io sono convinto di una cosa: benché facciano meno chiasso e clamore di altri cattolici – i reazionari “viganoniani” o i politicamente corretti bergogliani – benchè abbiano una visibilità mediatica minore o nulla, questi cattolici “adulti” non somo poi così pochi in Italia e potrebbero certamente trovare convincente questa proposta di una nuova laicità nella scuola pubblica.

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