
Il Vangelo di Tommaso, ritrovato tra i manoscritti di Nag Hammadi, nel codice II, viene spesso definito il “Quinto Vangelo”. Non si tratta solo di sensazionalismo giornalistico – peraltro la scoperta di questo Vangelo non è certo recente e come è noto il giornalismo brucia molto rapidamente le notizie – o dell’entusiasmo di certi canali social più o meno “complottisti” che pensano sempre di aver scoperto la vera storia, quella “che i libri non raccontano”, “che a scuola non ti insegnano”, e in questo caso si tratterebbe della vera storia o della vera figura di Cristo. Questa idea di poter scoprire il “Vero Gesù”, che sarebbe stato occultato dalle fonti ufficiali – che ha poi fatto anche la fortuna del “Codice Da Vinci”, è poi la versione caricaturale, come accade spesso oggi, di una corrente di pensiero che un tempo ha avuto la sua serietà. In questo caso si tratta di una caricatura della prima fase della ricerca sul Gesù storico la Old Quest, che si svolse tra la fine del Settecento e la seconda metà dell’Ottocento. Questa ricerca fu motivata proprio dall’ingenua idea di trovare il “vero Gesù”, occultato dal Cristo della chiesa e della dogmatica, trasfigurato in narrazioni mitologiche come quelle dei suoi miracoli; era l’ingenua pretesa di scoprire il genuino volto umano del Nazareno, sotto la maschera del dogma ecclesiastico e dietro la cornice mitologica. Un’idea allora sostenuta da autori come Reimarus e Strauss, che ebbe successo nella sinistra hegeliana, portò al proliferare delle varie “Vite di Gesù” nella seconda metà dell’Ottocento, ma fu demolita alla fine da Schweitzer nel 1906.
Albert Schweitzer, teologo, ma prima ancora medico e musicologo, in Geschichte der Leben-Jesu-Forschung, opera pubblicata nel 1906 smascherò il reale intento della Old Quest, che non era quello di trovare il Gesù autentico, ma di contrapporre al Gesù della dogmatica un Gesù gradito al mondo moderno, e in particolare al mondo intellettuale borghese e liberale, tedesco il protestantesimo liberale dell’età bismarckiana) ed anche anglosassone, adattando la figura di Gesù al pensiero moderno, facendo del Messia e Figlio di Dio, un maestro di morale, enucleando sotto la cornice dogmatica il nocciolo duro di un insegnamento etico. Memorabili le frasi scritte da Schweitzer:
«Strano destino quello della ricerca sulla vita di Gesù. Partì per trovare il Gesù storico, pensando di poterlo collocare nel nostro tempo come egli è, come maestro e come Salvatore. Spezzò le catene che da secoli lo tenevano legato alle rocce della dottrina ecclesiastica, gioì quando la vita e il movimento penetrarono di nuovo la sua figura e quando vide l’uomo storico venirle incontro. Egli tuttavia non si fermò: passò davanti al nostro tempo, lo ignorò e ritornò nel suo. La teologia degli ultimi decenni ne fu scandalizzata e spaventata, perché divenne consapevole che tutte le sue tecniche interpretative e le sue manipolazioni non erano in grado di trattenerlo nel nostro tempo, ma dovevano lasciarlo andare nel suo».
Morta la Old Quest, che rivive oggi solo nelle forme e sui canali di cui si diceva, seguì poi un periodo, segnato dall’autorevole opinione di Bultmann, nel quale fu dominante l’idea secondo cui tutta la questione del Gesù storico non avesse senso: vista l’assenza di fonti storiche autonome dai testi confessionali, canonici o apocrifi che fossero, il Gesù reale poteva essere solo il Gesù predicato, in altri termini il Gesù della fede. Questa fase fu ironicamente definita della No Quest.
Ma anche questa posizione estrema è stata da tempo superata – sebbene vi sia stato chi ha continuato a condividerla, e tra questi Ratzinger – e si è affermata largamente l’idea che la ricerca del Gesù storico – certamente non nei termini ingenui della Old Quest – sia non solo possibile, ma necessaria e necessaria proprio per motivi teologici: se noi volessimo separare il Gesù confessato nella fede come Cristo, Signore e Figlio di Dio, dal Gesù terreno, dal Gesù “storico” cadremmo infatti nel docetismo, nell’eresia secondo cui l’uomo storico Gesù di Nazareth era solo l’involucro materiale ed esterno del Cristo e il suo corpo terreno soltanto un phantasma e che il Cristo solo apparentemente soffrì e morì sulla croce oppure non soffrì e non morì affatto, ma lasciò il corpo di Gesù prima della crocefissione. Valorizzare la storicità e l’umanità storica di Gesù di Nazareth serve innanzitutto ad evitare questo rischio. E’ peraltro indubitabile – con buona pace di Ratzinger e di Bultmann – che la ricerca sul Gesù storico ha ormai affinato criteri e metodi esegetici che hanno portato a delle rilevanti acquisizioni.
Va comunque ben evidenziato che il “Gesù storico” di cui parlano oggi gli studiosi non è il “vero Gesù”, eventualmente contrapposto al Gesù mistificato della chiesa e della dogmatica, ma è il tentativo di delineare almeno alcuni tratti dell’uomo Gesù, operante in un certo luogo e in un certo momento della storia, così come la sua figura si può problematicamente e prudentemente ricostruire da fonti che comunque parlano e vogliono parlare solo del Gesù della fede e non fanno alcuna distinzione fra il Gesù della fede e il Gesù storico.
Ed è innanzitutto proprio per questo, per il contributo che può dare alla ricerca sul Gesù storico, intesa come oggi la si intende, che autorevoli studiosi parlarono e ancora parlano del Vangelo di Tommaso (d’ora in poi: VT) come Quinto Vangelo, e addirittura qualcuno di loro ha sostenuto che bisognerebbe riconsiderare la questione del canone. Ci torneremo.
Perché il VT è ritenuto così importante? Lo capiremo gradualmente, ma una prima idea possiamo farcela subito, semplicemente pensando a che cosa è questo testo, a che cosa contiene.
Si presenta come una raccolta di detti di Gesù, 114, ed è uno dei pochissimi dei Vangeli cosiddetti apocrifi che ci sia pervenuto integralmente. Alcuni di questi detti, un terzo circa, sono simili a quelli citati nei Vangeli canonici. Altri sono abbastanza simili nel contenuto, ma si presentano in una forma in parte diversa. Infine un terzo circa dei detti del VT non hanno riscontro nei Vangeli canonici.
Vi è quindi certamente una qualche relazione del VT con i Vangeli canonici e dobbiamo però capire che tipo di relazione sia. Vi è poi il problema di quei detti di Gesù che non hanno riscontro nei canonici: da dove provengono, da quali fonti o tradizioni sono pervenuto all’autore del VT, risalgono al “Gesù storico”, sono “autentici”?
La scoperta dei frammenti e del manoscritto
Dobbiamo partire dalla storia della scoperta di questo testo, per incominciare a rispondere a queste e ad altre domande fondamentali, domande indispensabili per valutarne poi il contenuto.
Il VT era citato da eresiologi antichi come Origene e lo Pseudo-Ippolito, il quale peraltro ne riporta uno dei passi, manipolandolo in modo da assimilarlo apertamente alle eresie gnostiche. Del testo originario, però, si era persa ogni traccia. Una cinquantina di anni prima della scoperta di Nag Hammadi vi era stato un altro importantissimo ritrovamento la cui storia è meno nota. Siamo sempre in Egitto, ad Ossirinco, città che era stata molto importante in epoca greco-romana per poi decadere e ridursi a villaggio. Nella discarica ricoperta di sabbia della antica città, nel 1897 – siamo in un’epoca di grandi imprese archeologiche – vengono ritrovati 500.000 frammenti di papiri, in diverse lingue, contenenti testi di ogni tipo. Tra essi furono reperiti tre frammenti papiracei, in greco, che contenevano una ventina di detti di Gesù. È stato solo dopo la scoperta dei codici di Nag Hammadi che si è potuto capire che questi detti appartenevano proprio al VT. A Nag Hammadi, nel 1945, è stato poi trovato, come si diceva, il testo integrale del VT, ma i frammenti di Ossirinco sono importantissimi per vari motivi.
Primo, i codici di Nag Hammadi sono databili al IV secolo o inizio V secolo, i frammenti di Ossirinco risalgono invece al III secolo e il più antico è del 200 circa. Questo significa che il VT fu redatto certamente prima di questa data (ma come vedremo il suo primo nucleo dovrebbe risalire addirittura alla metà del I secolo e la sua forma finale ai primi decenni del II secolo)
Secondo, i codici di Nag Hammadi sono in lingua copta, i frammenti di Ossirinco sono invece in greco ed è convinzione ormai quasi unanime degli studiosi che proprio il greco sia la lingua originaria del VT (qualcuno propende per il siriaco, ma ciò è meno probabile; tra l’altro, anche nel testo copto, a volte il traduttore conserva dei termini greci).
Terzo, i frammenti di Ossirinco provengono da tre copie manoscritte diverse e non da un unico esemplare. Questo potrebbe attestare una notevole diffusione del VT. Pensate che di diversi scritti del Nuovo Testamento abbiamo solo 2 manoscritti risalenti al II-III secolo: I lettera ai Corinzi, Filippesi, I e II Tessalonicesi, Vangelo di Marco. Della II Corinzi e di Galati abbiamo addirittura un solo manoscritti e della grande letetra ai Romani ne abbiamo quattro (solo uno in più del VT).
Quarto, i frammenti di Ossirinco non testimoniano affatto la circolazione del VT in gruppi eterodossi se non eretici, ma sembra che siano stati copiati e usati in circoli cristiani che usavano tranquillamente anche i testi canonici.
Non mi soffermo sulla storia della scoperta di Nag Hammadi, perché è abbastanza nota e oltretutto la versione tramandata è dubbia e probabilmente alquanto romanzata. Una importante questione è la seguente: da dove provenivano i manoscritti che erano stati racchiusi in una giara di terracotta sigillata e quindi interrata? Non abbiamo certezze. Sono state fatte tre ipotesi: appartenevano allo scriptorium di un monastero paconiano (e in effetti a pochi chilometri dal luogo del ritrovamento sorgeva il più importante di tali monasteri); si trovavano in una tomba e costituivano un corredo funerario; erano usati in circoli religiosi sincretistici e sono stati nascosti quando si andava ormai affermando una ortodossia che rendeva pericoloso il loro uso e possesso.
I codici ritrovati sono 13 e ognuno di essi è una collezione, una sorta di antologia di testi (sono 52 in tutto). Inoltre, dato che sono presenti sei doppioni (quindi i manoscritti sono 52, ma i trattati sono 46) si presume che formassero non già un’unica biblioteca, ma provenissero da almeno tre collezioni diverse. Contrariamente ad una opinione comune, non si tratta di collezioni esclusivamente gnostiche. I testi ascrivibili allo gnosticismo sono indubbiamente il maggior numero, ma vi sono anche scritti ermetici non cristiani e vi è il IX libro della Repubblica di Platone. Di alcuni testi, poi, tra cui proprio il VT è discussa la loro appartenenza o meno alla corrente gnostica.
La datazione del Vangelo di Tommaso
E veniamo alla decisiva questione della datazione del VT: a che epoca risale? È una questione decisiva evidentemente per cercare di sciogliere l’enigma della relazione tra VT e Vangeli canonici. Il VT è più antico dei canonici o è più tardo? Si può ipotizzare che Tommaso abbia “copiato” dai sinottici, se è posteriore ad essi, o sono stati i sinottici a copiare da Tommaso, se è antecedente? E come si spiegano i detti di Gesù che si trovano in VT e non nei sinottici? O forse la relazione è meno semplicistica, è indiretta e nessuno ha copiato dall’altro, ma tutti – Tommaso (lo pseudo-Tommaso)Marco, Luca, Matteo, Giovanni – hanno condiviso le medesime fonti e tradizioni, ciascuno selezionando e rielaborando il materiale secondo il proprio punto di vista teologico?
Sono domande importanti e la questione è molto complessa e complessa è la storia della formazione del VT, da cui dobbiamo necessariamente partire per capirne la relazione con i Vangeli canonici.
Per un certo tempo, gli studiosi si sono divisi tra chi proponeva una datazione bassa – inizio/prima metà del II secolo – e chi invece sosteneva una datazione alta, fino a retrocedere al 50 e anche prima. In questo caso il VT precederebbe i sinottici e sarebbe più o meno coevo alle lettere di Paolo. Esaminando i singoli detti, innanzitutto nella loro forma letteraria e nel lessico, e confrontando il testo greco dei Frammenti di Ossirinco con il testo copto di Nag Hammadi, per quella ventina di detti che si trovano sia nell’uno che nell’altro reperto, è maturato il convincimento che, se effettivamente il VT può aver avuto una origine molto antica, è stato poi sottoposto a un processo di assemblaggio e di revisione. Si presenterebbe, cioè, come un testo stratificato – come l’Antico Testamento, nel suo complesso e molti singoli libri dell’Antico Testamento (pensiamo a Isaia, che consta di tre diverse parti, con rimaneggiamenti in ciascuna di queste tre parti) – un testo formato da strati di epoca e di autore diversi. In particolare avremmo loghia molto antichi ed altri più recenti ed anche loghia più antichi rielaborati in un periodo successivo.
La tesi della stratificazione è stata tuttavia corretta – senza abbandonare il nucleo di verità che contiene – da un altro modello che molto recentemente si è largamente affermato. È il modello proposto, all’inizio del nuovo millennio, da una studiosa americana, April DeConick, e definito del rolling corpus. La metafora usata è quella della palla di neve che rotolando si ingrandisce sempre più. Non si tratterebbe quindi di strati successivi, ma dell’accumulo progressivo di nuovo materiale intorno a un nucleo originario. Queste integrazioni, aggiunte, correzioni, rielaborazioni e reinterpretazioni del nucleo originario sarebbero comunque determinate da nuovi problemi e nuove prospettive che la comunità credente si trova di fronte. Visto che, sulla base di una accurata analisi letteraria e lessicale dei vari loghia, la DeConick arriva alla conclusione che il nucleo originario avesse un contenuto escatologico-apocalittico, uno dei fondamentali problemi che avrebbero portato alla revisione del materiale sarebbe quello del ritardo della parousia. È un po’ quello che avviene con la II lettera ai Tessalonicesi che reinterpreta la prima, proprio riguardo al problema della parousia e del suo ritardo.
Sintetizzando, è probabile che il VT abbia effettivamente un’origine molto antica e sia stato poi sottoposto a un lungo processo di assemblaggio dei vari detti di Gesù e di loro revisione, un processo che si sarebbe concluso all’inizio e comunque non oltre la prima metà del II secolo. Infatti, nella forma in cui si presenta oggi, nel testo ricorre un lessico che è specifico e proprio del II secolo e non del I.
Pertanto, il VT risale nel suo primo nucleo a un periodo che precede certamente la stesura dei vangeli di Matteo e Luca e forse anche quello di Marco. Questo nocciolo originario potrebbe essere coevo alle lettere di Paolo, o addirittura le precederebbe: secondo la stessa DeConick risalirebbe a un gruppo di missionari cristiani che muovendo da Gerusalemme stessa sarebbero stati attivi in Palestina nei primi decenni successivi alla morte di Gesù, quindi tra il 30 e il 50. Questa missione si sarebbe poi trasferita nella Siria Orientale, nell’area di Edessa. Questa zona è quella da cui secondo il giudizio ormai unanime degli studiosi proviene il VT nella sua stesura finale.
Il testo quindi è una fonte privilegiata nella ricerca da un lato sul Gesù storico, dall’altro lato sulle modalità di trasmissione delle testimonianze su Gesù nelle comunità cristiane primitive ed è innanzitutto per questo che alcuni biblisti lo hanno definito un “quinto vangelo”.
Questo sul piano generale dà già una idea sommaria del valore di questo testo.
La relazione del Vangelo di Tommaso con i sinottici e il suo valore
Un primo motivo specifico della eccezionale importanza del VT è poi che esso conferma ciò che prima potevamo solo supporre e che restava esposto a dubbi e incertezze. Finora si era solo potuto ipotizzare che tra le fonti, orali e poi anche scritte, che danno una testimonianza su Gesù nei primissimi decenni della storia cristiana vi fossero anche delle raccolte dei suoi detti, non inserite in una cornice narrativa e biografica (come invece accade nei Vangeli canonici), ma a sé stanti. Questa ipotesi – l’ipotesi della cosiddetta fonte Q – era stata fatta a fine Ottocento e aveva costituito una svolta nella ricerca sui Vangeli, ma non trovava ancora un riscontro documentario.
Si era notato che sia Luca che Matteo, parallelamente e indipendentemente l’uno dall’altro, utilizzano Marco come loro fonte. In altri termini in Luca e Matteo vi sono passi simili – episodi della vita di Gesù, parabole – che si trovano già in Marco. Da qui una prima acquisizione: il Vangelo di Marco è il più antico. Nello stesso tempo, vi sono altri passi in cui Matteo e Luca concordano, almeno nella sostanza, anche se spesso con dei ritocchi o delle modifiche operati ora dall’uno e ora dall’altro, ma si tratta stavolta di passi che Marco non conosce, che non si ritrovano nel suo Vangelo. Da qui l’ipotesi che Matteo e Luca utilizzino, oltre a Marco, un’altra fonte comune. Questa ipotetica fonte comune fu chiamata Q, da Quelle, che in tedesco significa semplicemente “fonte”. Nasce così la “teoria delle due fonti” (Marco e Q). E visto il carattere del materiale citato dai due evangelisti si ritenne che Q dovesse essere una raccolta di detti di Gesù, senza una cornice narrativa e biografica, senza un racconto dell’infanzia, né un racconto della Passione e della Resurrezione. C’era però un problema: non solo la fonte Q non è stata trovata in nessun manoscritto e quindi sostanzialmente è una fonte ricostruita solo “a tavolino”, attraverso Luca e Matteo, ma non c’era nessun esempio di una raccolta di detti di Gesù, senza cornice narrativa, ossia non inserita in un Vangelo, almeno secondo il modello dei Vangeli canonici. Questa era una forte obiezione all’esistenza stessa della fonte Q. Il VT ha confermato, invece, che questa modalità di trasmissione della testimonianza su Gesù effettivamente esisteva.
Il VT è quindi un valido supporto all’ipotesi dell’esistenza di Q. Il Vangelo di Tommaso e Q sono dunque lo stesso documento? La risposta è no: i detti di Tommaso non sono gli stessi di Q (come li possiamo ricostruire in Luca e Matteo), però alcuni detti di Tommaso – non tutti e neanche la maggior parte – si ritrovano anche in Q, quindi evidentemente Tommaso e Q sono due testi diversi tra cui però c’è una relazione. Allora, se torniamo alla fondamentale domanda iniziale, quella sulla relazione tra VT e i canonici, riguardo a Luca e Matteo, questa relazione pare che sia indiretta e che passi attraverso Q come fonte comune ed utilizzata da tutti e tre i Vangeli.
In Tommaso si trovano però, come del resto in Luca e Matteo, sia detti presenti in Q, sia detti non presenti in Q. Tra quelli non presenti in Q, alcuni sono presenti in Marco. Ci sono inoltre in Tommaso detti presenti in Luca, ma non in Matteo o in Marco. E, come si diceva, ci sono nel VT un buon numero di detti di Gesù che non si trovano in nessuno dei vangeli canonici.
Tutti questi elementi concorrono a una conclusione: il VT e i Vangeli canonici condividono alcune tradizioni e fonti molto antiche, che poi ciascuno degli autori utilizza in modo in parte diverso. Queste fonti e queste tradizioni sono sia orali che scritte. Bisogna evitare l’errore che ci porta frequentemente a pensare che le tradizioni orali siano la fase che precede la stesura di fonti scritte e che poi siano del tutto rimpiazzate da tali fonti scritte. Certamente la trasmissione originaria è soprattutto orale, ma l’oralità non viene affatto sostituita dalla scrittura e almeno fino alla metà del II secolo nelle comunità cristiane la trasmissione orale delle tradizioni su Gesù conserva persino un primato rispetto alla trasmissione scritta e viene ritenuta più “autentica”, più “affidabile” (anche se noi moderni tendiamo a pensarla all’opposto). Abbiamo in proposito una importante testimonianza di Papia. Per cui accade che tradizioni ormai riversate in testi scritti vengano ri-oralizzate, che accanto alla fonte scritta scorra quella orale e che il testo scritto venga modificato e reinterpretato alla luce della trasmissione orale e della sua ricezione nella comunità dei fedeli. E questo è un altro punto importante: i destinatari del messaggio, la comunità ricevente, non è un soggetto passivo, ma attivo e contribuisce a rielaborare e a reinterpretare il messaggio, ossia il testo, la tradizione, la fonte. Questa fu molto probabilmente la storia del VT e la storia del VT ci insegna molto sulla storia della trasmissione delle tradizioni su Gesù in generale, una storia che ovviamente coinvolge pienamente i Vangeli canonici.
Oltre a condividere fonti e linee di tradizioni comuni, tra Vangelo di Tommaso e Vangeli canonici vi è anche una probabile influenza più diretta. La tesi della “completa dipendenza” di Tommaso dai Vangeli canonici, che fu profilata inizialmente (Tommaso, cioè, avrebbe “copiato” i canonici, rielaborandoli in chiave gnostica) non è assolutamente più sostenibile, anche per le questioni di datazione che abbiamo delineato. Ovviamente, è improponibile anche la tesi uguale ed opposta della completa dipendenza dei canonici da Tommaso. Tuttavia, anche la tesi della “completa indipendenza” di Tommaso dai canonici, e viceversa, appare ormai troppo unilaterale. È probabile che nel corso della sua evoluzione il VT abbia recepito passi dei canonici, o già nella loro forma scritta, o come venivano tramandati oralmente; in una fase avanzata Tommaso può aver recepito anche passi delle lettere paoline e deuteropaoline.
Alla fine, lo studio sulla formazione del VT ci porta a una fondamentale acquisizione che non riguarda solo questo Vangelo, ma anche i canonici, gli scritti neotestamentari e le fonti cristiane antiche in genere: nel I e nel II secolo la trasmissione delle testimonianze su Gesù avviene secondo una fluidità e una circolarità tra le diverse fonti e tradizioni, secondo una reciproca influenza e contaminazione, anche tra oralità e scrittura. E questo, prima che il testo scritto, che i vari testi scritti divengano definitivi e molto prima che si imponga una netta liea di demarcazione fra scritti canonici e scritti “apocrifi”. Questo modello circolare potrebbe valere non solo nel campo filologico, ma anche in quello teologico, potrebbe cioè riguardare la trasmissione e diffusione delle idee e, specificamente, delle immagini di Gesù, delle idee cristologiche.
Ci avviciniamo così al contenuto del Vangelo di Tommaso, ma prima – e lo faremo nel prossimo articolo – ci tocca approfondire il valore che ha questo Vangelo nella ricerca sul Gesù storico e dovremo anche capire perché, nonostante la sua importanza, non è un vangelo canonico. Dovremo discutere quindi anche l’aspetto della canonicità
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