In un momento in cui si parla con grande approssimazione o franca ignoranza e con il pesante condizionamento delle opposte macchine propagandistiche dei gruppi neonazisti in Ucraina, del rapporto del nazionalismo ucraino con i nazisti durante l’occupazione tedesca, in un momento in cui riemerge pure, in certe aree del “dissenso”, la famigerata teoria del “complotto ebraico” (oggi per lo più non denominato esplicitamente così, ma presentato come complotto degli “askhenazy” o di alcune famiglie, che però sono immancabilmente di origini ebraiche) è veramente meritoria l’iniziativa di Adelphi di pubblicare Ucraina senza ebrei di Vasilij Grossman. Si tratta di una sorta di reportage, che lo scrittore russo, di famiglia ebraica, scrive nel 1943 come corrispondente di guerra al seguito dell’Armata Rossa che stava avanzando nell’Ucraina occupata dai nazisti.
Due parole, innanzitutto, su Grossman. Nato in Ucraina, ingegnere chimico nel Donbass, Grossman aveva aderito all’ideologia sovietica e si era dedicato alla letteratura a partire dal 1934, celebrando tra l’altro in un imponente romanzo – Stepan Kol’čugin – l’epopea della lotta popolare rivoluzionaria sotto il regime zarista e nella fase della guerra civile. Dopo l’invasione tedesca raggiunge notevole fama come corrispondente di guerra e continua a raccontare con accenti di lirismo l’eroismo popolare, concentrandosi soprattutto sulla battaglia di Stalingrado. Ben presto, prende a testimoniare la tragedia della shoah e dell’antisemitismo nazista (e ciò avviene già nell’opuscoletto ora pubblicato da Adelphi e scritto nel 1943), entrando tra l’altro nel campo di sterminio di Treblinka. La campagna antisemita scatenata da Stalin a partire dal 1949 manda però in crisi il suo rapporto con il regime e agli inizi degli anni Cinquanta comincia ad essere sottoposto a duri attacchi da parte del partito. La prima parte della dilogia da lui concepita appare comunque nel 1952, su una rivista, con il titolo Per una giusta causa e ha un notevole successo di critica e di pubblico. La seconda parte –– Vita e destino – iniziata nel 1955, fu portata a termine nel 1960, ma fu sequestrata dal KGB. L’opera fu pubblicata solo nel 1980, grazie al fatto che qualcuno riuscì a salvare il manoscritto e a portarlo ad Andrej Sacharov, che lo fece fotocopiare e lo fece portare clandestinamente a Losanna. Un altro romanzo di Grossman, Tutto scorre, incompiuto e trovato fra le sue carte, fu pubblicato nel 1970 in Francia. Che i suoi scritti fossero stati salvati e poi pubblicati lo scrittore non lo avrebbe mai saputo: il dolore per la persecuzione che gli era stata intentata e un cancro allo stomaco lo avevano ucciso nel 1964.
In Italia Vita e destino fu pubblicato nel 1983 da Jaca Book ma ebbe una circolazione limitatissima e abbiamo dovuto attendere la nuova traduzione e l’edizione di Adelphi del 2008 affinché Grossman raggiungesse anche nel nostro paese la notorietà che merita. La prima parte della dilogia, con il titolo Stalingrado e non con quello originario, è stata pubblicata da Adelphi nel 2022.
In Ucraina senza ebrei, Grossman fa innanzitutto il lungo elenco di città in cui è entrato al seguito dell’Armata Rossa e che erano state per mesi sotto la brutale occupazione nazista. A voler mettere insieme tutti i racconti ascoltati e tutte le scene viste ne verrebbe fuori, dice, un libro tremendo su una ingiustizia somma. Ma c’è un aspetto particolarmente sconvolgente nel terribile spettacolo che si apre dinanzi ai suoi occhi. Sono i villaggi dove non può neanche ascoltare le parole di rabbia e di dolore, perché non è rimasto più nessuno a pronunciarle. È “un silenzio più tremendo delle lacrime e delle maledizioni, più tremendo di pianti e di lamentazioni straziate”. E questo silenzio lo riporta al silenzio degli ebrei. Non ci sono più ebrei in Ucraina, da nessuna parte. Non ci sono più ebrei nelle città e nei villaggi dove essi una volta erano una parte importante della popolazione e talora addirittura la maggioranza di essa. “Niente parole. Silenzio. Un popolo ucciso”. E Grossman fa un lunghissimo, agghiacciante elenco di tutti i mestieri e le professioni che gli ebrei esercitavano lì da secoli, nel vivo tessuto della società, dell’economia e della cultura. L’aspetto spaventoso, sul quale non ci soffermiamo mai perché pensiamo alla shoah solo come all’eccidio di milioni di singoli individui, perché la accostiamo ai lager dove agli ebrei era già stata sottratta la loro identità di popolo, dove erano stati già ridotti a numeri, è proprio quello che Grossman coglie in quella terra che ben conosceva: è il genocidio di una civiltà.
“Qui hanno ucciso un popolo, hanno ucciso le case, le famiglie, i libri e una fede; hanno ucciso l’albero della vita […] hanno ucciso il corpo e l’anima di un popolo, hanno ucciso un nobile retaggio di fatica che di generazione in generazione ha dato al mondo migliaia di artigiani e di intellettuali di talento. Hanno ucciso la morale di un popolo, i suoi usi quotidiani, le barzellette tramandate dai vecchi ai figli, hanno ucciso i ricordi, le canzoni tristi, la poesia di una vita allegra e amara insieme, hanno devastato case, famiglie e cimiteri; è la morte di un popolo che per secoli ha vissuto fianco a fianco col popolo ucraino”.
E Grossman ricorda come nelle narrazioni di quegli autori che si sono occupati di come si viveva in Ucraina – Cechov, Gogol, Gorki – ci sono sempre gli ebrei. E non potrebbe essere diversamente perché tutti coloro che sono nati e vissuti in Ucraina, fino alla sua generazione, si sono nutriti delle scene di vita del popolo ebraico.
In tutto il suo peregrinare – si badi che Grossman parla dell’Ucraina orientale, ad est del Dnpr, e non di quella occidentale, che oggi occupa le storiche regioni della Galizia e della Bucovina, polacche e poi asburgiche, e che l’Armata Rossa non ha ancora raggiunto, ma dove gli ebrei erano ancora più numerosi – del milione di ebrei che viveva lì, è riuscito a trovarne solo uno, l’unico che era riuscito a nascondere la sua identità. Si badi ancora che nel 1943 si sapeva ancora poco dei lager e della soluzione finale: Grossman testimonia un eccidio di centinaia di migliaia di ebrei che molto spesso non era avvenuto neanche con la deportazione nei campi di concentramento, ma con fucilazioni di massa, appena fuori dalle città e dai villaggi, e nota già l’agghiacciante, ferreo, ineccepibile rigore con cui questa ecatombe è stata perpetrata.
“Da che esiste su questa terra, l’umanità non ha mai assistito ha una strage di innocenti, di indifesi così pianificata, così massiccia, così feroce. È il crimine più grande che sia mai stato commesso nella storia – e di crimini la storia ne ha conosciuti tanti, e col sangue la storia è stata scritta per intero – Eppure né Erode, né Nerone o Caligola, né i khan tatari o mongoli, né Ivan il terribile, nessuno di coloro che hanno impregnato la terra di sangue, ha mai commesso un crimine tanto abnorme […] Gli ebrei d’Ucraina non esistono più”.
Grossman fa poi delle considerazioni acute e profonde sull’antisemitismo e, sebbene all’epoca egli sia impegnato a denunciare essenzialmente l’antisemitismo nazista, da queste considerazioni già traspare l’intuizione della portata e delle radici ben più ampie del fenomeno. Esso caratterizza, sia pure in forme diverse, tutti i paesi. Esso è stato usato da vari governi e regimi. Ma, soprattutto, non c’è solo l’antisemitismo di Stato, di partito e di regime, c’è anche quello che Grossman definisce “antisemitismo ideologico” e che è purtroppo diffuso anche nei popoli e nei singoli individui. Grossmann coglie proprio nel segno e le sue affermazioni dipingono anche la realtà rimontante dell’antisemitismo nel nostro tempo e del complottismo antisemita:
“l’antisemitismo ideologico è un fenomeno che nasce dal bisogno fisiologico di spiegare i mali del mondo e delle persone guardando uno specchio anziché se stessi, e lo Stato vi ricorre ogni volta che vuole creare un’”epidemia” ad hoc nella forma che gli è necessaria. È nella parte istruita della società che si incontrano, soprattutto, i latori dell’antisemitismo ideologico. Che cosa c’è alla sua base? Alla base di questo tipo di antisemitismo c’è, credo, il ruolo tragico dell’ebraismo, che in ogni paese è diventato lo specchio dei difetti intrinseci del sistema sociale e dei singoli individui”.
Così, spiega Grossman – anche se con l’esempio poco felice di Dostoevskij – una certa evoluzione dell’economia e della società, quella del capitalismo finanziario, genera un malcontento che, invece di indirizzarsi contro le contraddizioni e i difetti del sistema sociale stesso, colpisce l’ebreo.
“La si potrebbe mettere così: Dimmi di cosa accusi gli ebrei e ti dirò quali colpe hai tu. Questo vale non solo per la società, ma anche per i singoli individui”.
In quel momento, Grossman non solo assolveva il popolo ucraino e il popolo russo da qualsiasi responsabilità nella tragedia ebraica, ma ne celebrava incondizionatamente la lotta valorosa. Ben presto avrebbe scoperto la verità di quanto aveva già scritto e che abbiamo sopra riportato. L’antisemitismo non fu e non è soltanto una tragica aberrazione nazista, ma fu ed è un germe che in modo latente o più aperto appesta i vari regimi, partiti e popoli, a cominciare da quelli dove la presenza ebraica è stata più importante – e sono proprio i popoli dell’Europa orientale. Esistevano purtroppo, prima ancora dell’occupazione nazista, correnti antisemite tanto in Russia – inutile ricordare che la parola pogrom è russa e che in Russia furono ideati i “Protocolli dei Savi di Sion” – quanto in Ucraina. E soprattutto l’antisemitismo è la comoda scappatoia che consente di riversare su un’etnia o anche su una cricca di singoli membri di questa etnia le responsabilità per i mali della società. Oggi, ancora una volta.
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