Il degrado della vita pubblica e del dibattito politico sono oggi strettamente legati al degrado del linguaggio della politica. Si potrebbe attingere a un ricco patrimonio di categorie politiche, definito nei decenni scorsi, lungo tutto il Novecento, ma queste categorie che potrebbero meglio cogliere la complessa realtà del mondo attuale non sono neanche più conosciute, mentre si usano ripetutamente pochi termini- ad esempio “sovranista” o “populista” – in modo generico, riduttivo e improprio e soprattutto non per analizzare e descrivere i fenomeni, ma per mettere un marchio alla “tribù nemica” o magari anche alla propria, un contrassegno di riconoscimento che serve a demonizzare o a idolatrare, a identificare il nemico e l’amico.
Sarebbe invece importantissimo, per immaginare una via d’uscita alla crisi, riappropriarsi della ricchezza del lessico politico e naturalmente usare in modo appropriato le parole, consapevoli del loro autentico significato o anche della molteplicità di significati che possono avere.
Una delle categorie politiche che non viene quasi mai adoperata e che sarebbe invece molto utile per capire l’attuale contingenza politica è quella di “cesarismo”.
Si potrebbe dire che il cesarismo sia una categoria perenne della vita politica, sebbene il fenomeno cesarista si presenti poi in ogni epoca e in ogni specifica vicenda con tratti peculiari a quella epoca e a quella vicenda o a quel personaggio. Oggi esso sembra spesso riproporsi in maniera caricaturale, ma a parte il fatto che anche Mussolini e Hitler inizialmente parvero a molti delle caricature, questa ripetizione in chiave volgarmente e miseramente parodistica di fenomeni, vicende e figure storiche andrebbe essa stessa considerata come elemento essenziale della attualità, il che sconsiglia di liquidarla sbrigativamente.
Una categoria simile, ma circoscritta a un arco cronologico più limitato, è quella di bonapartismo. Cesarismo e bonapartismo sono poi tipologie politiche imparentate con quella – oggi tanto spesso, ma grossolanamente, evocata – del populismo.
Una prima definizione del cesarismo. Michels
Di che stiamo parlando, allora?
I fenomeni politici che queste categorie cercano di descrivere hanno come elemento centrale il rapporto tra un leader (un princeps, un signore, un capo di partito) e il popolo, tra una singola personalità e le masse.
Soffermandoci in particolare sul “cesarismo” e partendo da una definizione di massima, per poi esaminare meglio l’origine e il significato del termine, potremmo dire che si parla di cesarismo in una situazione nella quale si impone un forte potere, esercitato da una singola persona e legato anche ad una forza militare e/o ad una forza economica; questo potere si presenta tipicamente come svincolato dagli interessi di parte, di gruppi e fazioni, e superiore ad essi; si propone inoltre come potere superiore alle stesse istituzioni, libero dalle pastoie dei meccanismi istituzionali; il leader cesarista scavalca istituzioni e meccanismi per fondare un rapporto diretto con il popolo; e proprio per questo si attribuisce, e gli viene attribuita, la capacità di servire il popolo stesso, di realizzare il bene comune, di farsi carico degli autentici interessi della comunità.
Naturalmente, il fatto che il “Cesare” di turno si presenti in questo modo e che le masse, o una loro buona parte, credano, almeno per un certo tempo, all’immagine che cerca di dare di sé, non significa che tale rappresentazione corrisponda alla realtà.
La fortuna del termine – oggi però declinante anche tra gli studiosi – si deve in buona parte al suo uso da parte di Gramsci.
Molto prima di Gramsci, tuttavia, a parlare di cesarismo nella politica del primo Novecento, è un altro autore, Robert Michels, nato a Colonia, ma naturalizzato italiano. Michels si occupa di sociologia politica, sulla scia dei cosiddetti “teorici delle élites” (Mosca e Pareto, innanzitutto), studiando in particolare il moderno partito di massa (la SPD tedesca) e poi il funzionamento stesso dello Stato moderno nella fase che vede l’irrompere sulla scena delle organizzazioni di massa. In questo contesto, in uno scritto del 1911 egli tratta del fenomeno “cesarista”. Prima di accennare alla sua analisi, vale la pena sottolineare come Michels sia uno degli autori d’elezione del giovane Mussolini, uno di quelli che contribuiscono potentemente alla formazione culturale e politica del futuro Duce del fascismo e dai quali questi trarrà elementi non tanto di una ideologia o una visione del mondo, ma per una concreta prassi politica.
Michels formula quella che potrebbe chiamarsi la “legge ferrea dell’oligarchia”, come punto d’arrivo dei suoi studî sul processo di formazione delle élites. È la tesi dell’inevitabile egemonia degli apparati sulle masse e delle élites dirigenti sugli apparati. D’altra parte, la necessità di mantenere un rapporto con le masse e di ottenerne il consenso fa sì che tenda ad emergere al di sopra degli apparati di partito e delle stesse loro oligarchie dirigenti una figura carismatica (Michels discusse le sue tesi con Weber che parallelamente stava studiando e definendo le varie tipologie di potere, sottolineando l’importanza proprio della forma carismatica).
Il cesarismo, per Michels, ossia l’affidamento a un capo carismatico, è indotto nelle masse imbevute di ideologia democratica da una illusione: rimanere padroni dei propri padroni; l’illusione, quindi, che il leader sia espressione del popolo, sia addirittura una creatura del popolo (“uno di noi” si direbbe oggi), asceso al potere solo per volontà del popolo e contro le oligarchie, i ricchi, le istituzioni corrotte, ecc. Così il popolo democratico rinuncia paradossalmente alla propria sovranità, delegandola al “Cesare” di turno e illudendosi di esercitarla attraverso di lui.
Ci sarebbe evidentemente molto da riflettere su queste note di Michels come chiave interpretativa della nostra attualità.
Il cesarismo in Gramsci
Altrettanto interessanti e utili sono le riflessioni di Gramsci sul cesarismo, sebbene egli le sviluppi proprio in contrapposizione polemica con Michels (ma il dissidio verteva essenzialmente sul ruolo e sul carattere del partito di massa, per Gramsci moderno “Principe” – nel senso del Principe di Machiavelli – e “intellettuale collettivo”).
In uno dei “Quaderni del carcere”, quello poi edito con il titolo “Note su Machiavelli”, Gramsci scrive alcune dense pagine sul cesarismo, delineando un programma di ricerca che poi evidentemente non potrà pienamente sviluppare. Si riprometteva, infatti, sotto il titolo, per l’appunto, di “cesarismo”, di «compilare un catalogo degli eventi storici che hanno culminato in una grande personalità “eroica”».
Il cesarismo per Gramsci nasce innanzitutto da una situazione di scontro e di equilibrio di forze:
«Si può dire che il cesarismo esprime una situazione in cui le forze in lotta si equilibrano in modo catastrofico, cioè si equilibrano in modo che la continuazione della lotta non può che concludersi con la distruzione reciproca. Quando la forza progressiva A lotta con la forza regressiva B, può avvenire non solo che A vinca B o che B vinca A, può avvenire anche che non vinca né A né B, ma si svenino reciprocamente e una terza forza C intervenga dall’esterno assoggettando ciò che resta di A e di B».
Il cesarismo esprime quindi una «soluzione arbitrale, affidata a una grande personalità in una situazione storico-politica caratterizzata da un equilibrio di forze a prospettiva catastrofica».
Gramsci distingue soluzioni cesariste “progressive”, come quelle dello stesso Giulio Cesare e di Napoleone I, e soluzioni cesariste “regressive”, tra le quali cita quelle di Napoleone III e di Bismarck. Naturalmente Gramsci non può citare, dato che i suoi scritti potevano essere controllati ed eventualmente sequestrati, il caso di cesarismo che in realtà è quello da cui muove tutta la sua riflessione e da cui dipende l’interesse che ha per la questione. Ed è ovviamente il caso del fascismo italiano con Mussolini.
Tre ulteriori considerazioni dell’intellettuale comunista sono particolarmente interessanti per noi oggi. Gramsci, dopo aver precisato che il cesarismo «è una formula polemico-ideologica e non un canone di interpretazione storica», chiarisce che «si può avere una soluzione cesarista anche senza un Cesare, senza una grande personalità “eroica” e rappresentativa». Gli stessi “governi di coalizione”, lungi dall’essere, come si crede volgarmente, un baluardo contro il cesarismo, possono essere «un grado iniziale di cesarismo».
La seconda considerazione è addirittura decisiva per le situazioni attuali:
«Nel mondo moderno, con le sue grandi coalizioni di carattere economico-sindacale e politico di partito, il meccanismo del fenomeno cesarista è molto diverso da quello che fu fino a Napoleone III. Nel periodo fino a Napoleone III le forze militari regolari o di linea erano un elemento decisivo per l’avvento del cesarismo, che si verificava con colpi di Stato ben precisi, con azioni militari ecc.. Nel mondo moderno le forze sindacali e politiche, coi mezzi finanziari incalcolabili di cui possono disporre piccoli gruppi di cittadini, complicano il problema. I funzionari dei partiti e dei sindacati economici possono essere corrotti o terrorizzati, senza bisogno di azione militare in grande stile, tipo Cesare o 18 brumaio».
Vale a dire, e qui Gramsci vede lontano, ben oltre fascismo e nazismo che comunque si basavano anche su forze paramilitari – squadrismo, SA e SS – che è possibile un cesarismo senza azioni militari, senza un vero colpo di stato o con un golpe “bianco”.
La “tecnica politica moderna” è completamente mutata, dopo la formazione di grandi organizzazioni di massa, di vaste burocrazie statali e la trasformazione del concetto stesso di polizia, da servizio statale teso alla repressione della delinquenza, «all’insieme delle forze organizzate dello Stato e dei privati, per tutelare il dominio politico ed economico delle classi dirigenti. In tal senso, interi partiti “politici” e altre organizzazioni economiche o di altro genere devono essere considerati organismi di polizia politica, di carattere investigativo e preventivo».
Infine, Gramsci, correggendo o integrando il giudizio iniziale sul cesarismo che avrebbe origine da un equilibrio di forze scrive:
«nel mondo moderno l’equilibrio a prospettive catastrofiche non si verifica tra forze che in ultima analisi potrebbero fondersi o unificarsi, sia pure dopo un processo faticoso e sanguinoso, ma tra forze il cui contrasto è insanabile storicamente e anzi si approfondisce specialmente con l’avvento di forme cesaree».
In tal senso, il cesarismo può essere l’espressione di uno squilibrio e non di un equilibrio di forze ed essere volto a mantenere la debolezza della forza progressiva antagonista. «Perciò si è detto che il cesarismo moderno più che militare è poliziesco».
La categoria del bonapartismo
Vale, infine, la pena di citare, sia pure molto rapidamente, l’ampia letteratura politologica che usa la categoria di “bonapartismo” per interpretare il fenomeno fascista (e il nazismo). Si tratta di studiosi marxisti che contestano apertamente o rivedono criticamente la posizione ufficiale che aveva assunto la III Internazionale staliniana nel giudizio sul fascismo. Al VII Congresso mondiale dell’Internazionale comunista (Komintern), che si svolse a Mosca nell’estate del 1935 e che lanciò anche la politica dei “Fronti Popolari”, Georgi Dimitrov, presidente del Komintern, comunista bulgaro riparato nell’URSS come Togliatti e come Togliatti fra i più stretti collaboratori di Stalin nell’organizzazione del movimento comunista internazionale, definì l’interpretazione ortodossa del nazi-fascismo: «il fascismo al potere è l’aperta dittatura terroristica degli elementi più reazionari, più sciovinisti, più imperialistici del capitale finanziario». Dimitrov intendeva soprattutto liquidare le interpretazioni del fascismo come movimento dei ceti medi: in molti casi la piccola borghesia si era lasciata attirare dalla propaganda demagogica, ma il fascismo era “il potere dello stesso capitale finanziario” o, come si riassumeva nella formula poi divenuta corrente, “l’agente del capitale finanziario monopolistico”.
Contro questa interpretazione così schematica e riduttiva, che non riusciva a dar conto della base di massa e del consenso che il fascismo riusciva ad avere, muovono alcuni studiosi marxisti, tra i quali soprattutto August Thalheimer e Otto Bauer. Il primo era stato uno dei fondatori del partito comunista tedesco, ma ne era stato espulso nel 1928 e aveva fondato un altro partito comunista; criticava la politica estera sovietica, ma non la politica interna. Otto Bauer era invece un importante esponente della socialdemocrazia austriaca e dell’”austro-marxismo” ed era stato subito critico nei confronti della rivoluzione bolscevica.
Questi autori assumono come modello un’opera storiografica di Karl Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte. Nell’interpretazione di Marx, la classe dominante, la borghesia, per fronteggiare e respingere l’avanzata, potente ma ancora immatura, del proletariato aveva ceduto il potere politico – a Luigi Bonaparte, appunto – per conservare il dominio sociale. Luigi Bonaparte, poi divenuto Napoleone III, contava tuttavia su una base sociale autonoma, costituita da ceti medi, in particolare, nella Francia del tempo, da piccoli proprietari contadini. Uno schema interpretativo simile viene applicato all’analisi dei regimi fascisti, che quindi non sono considerati un mero strumento del capitale finanziario, anche se in fin dei conti sono funzionali ai suoi interessi, ma come forme di governo dotate di una autonomia, legata ad una propria base di massa.
Il valore attuale di queste categorie
MI pare che sarebbe molto utile far tesoro di tutte queste analisi e considerare l’uso delle categorie di cesarismo e di bonapartismo come chiave di lettura della situazione politica attuale.
In sintesi, provo quindi ad abbozzare qualche linea interpretativa.
Si può innanzitutto notare questo tratto singolare: la tentazione cesarista, l’attrazione per l’”uomo forte” che si presenta con i tratti sopra delineati (in fondo schiettamente “populistici”), è particolarmente diffusa in chi contesta il sistema o almeno un settore del sistema. In Italia abbiamo avuto il fenomeno Berlusconi, poi Grillo, quindi Salvini. Persino nella forza politica più organica al potere dominante, è emersa a un certo punto in modo prepotente una figura che si è presentata in modo analogo, il “rottamatore” Renzi. Ma se allarghiamo lo sguardo, vediamo che l’investitura “cesarista” riguarda proprio quelle personalità che vengono considerate elementi di rottura del potere globale, come Trump o Putin.
Sarebbe quindi molto utile che chi si lascia affascinare da questi personaggi tenesse ben presente innanzitutto le parole di Michels, sulla “illusione cesarista” e li smascherasse come mistificatori. Affidarsi a questi improbabili Cesari porta le masse a rinunciare alla propria sovranità, mentre credono di difenderla.
Si può anche aggiungere che queste personalità cesariste, proprio come il Napoleone III dell’analisi bonapartista, sono proprio funzionali agli interessi di oligarchie di potere, nel momento in cui queste scontano una crisi di egemonia: in queste fasi è essenziale per le élites trovare qualcuno che sia in grado di accreditarsi come servitore del popolo, mentre il suo vero ruolo è quello di neutralizzarne il malcontento, o di dirottarlo su falsi bersagli, e di espropriare la sovranità popolare o ciò che ne resta.
Il cesarismo odierno pare quindi nascere da una situazione che non è certo di equilibrio di forze, ma nella quale la forza dominante – l’oligarchia globalista – ha bisogno di mantenere la debolezza della forza antagonista – classi lavoratrici e ceti medi pauperizzati – perché il modello di sviluppo capitalistico non consente più mediazioni e compromessi. Il dominio sociale ed economico, come Gramsci aveva intuito, non si fonda più sulla forza militare, sulla violenza direttamente ed apertamente esercitata, ma su un “controllo poliziesco diffuso”, che ovviamente può contare oggi su strumenti mediatici e tecnologici che Gramsci non poteva neanche lontanamente immaginare. In questo modo, salvo la gestione di insorgenze sociali antagoniste nella loro fase acuta, per le quali può essere utile il “Cesare” di turno, il sistema sembra esprimere soprattutto quello che Gramsci definiva “cesarismo senza Cesare” (si veda il frequente ricorso anche a governi di coalizione – la formula legata oggi al nome della von der Leyen).
Infine, gli oppositori del sistema, che spesso considerano i governi in carica dei semplici agenti del potere finanziario oppure, in uno schematismo ancora più rozzo e riduttivo e anche più diffuso, i burattini di una ristretta cricca massonica, dovrebbero apprendere proprio la lezione degli studiosi che elaborarono l’interpretazione “bonapartista” del fascismo, per comprendere la reale complessità del sistema di potere.
Insomma, le categorie politiche di cesarismo e di bonapartismo potrebbero offrire notevoli occasioni di riflessione, per chi voglia e sappia ancora pensare.
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