Come nasce il libro
Sono convinto che tutti i libri che vogliano avere un significato debbano nascere dalla vita reale, dal proprio vissuto, dalle questioni più importanti e urgenti dell’attualità e del nostro tempo, anche quando non sono libri di poesia o di narrativa, ma si occupano di argomenti apparentemente astratti, teorici o lontani nel tempo. Penso che sia stato così per tutto ciò che ho pubblicato negli anni passati, ma certamente è più che mai vero per il libro che esce ora.
Parlo della vita reale che abbiamo drammaticamente vissuto dall’inizio del 2020.
A prescindere dalla reale portata e gravità dell’epidemia attribuita al virus Sars-Covid-19 – questa è una valutazione che ciascuno di noi non può che aver fatto gradualmente, trattandosi di un fenomeno nuovo e vista la scarsa attendibilità delle fonti di informazioni ufficiali – ciò che mi ha subito colpito e impressionato, fin dal marzo 2020, è il formidabile attacco a diritti e libertà fondamentali che si è subito scatenato in nome della salvaguardia del “bene collettivo della salute”. Prima con i lockdown, poi con il Green Pass e gli obblighi vaccinali sono stati compressi, limitati, violati o addirittura cancellati i diritti tutelati da ben 13 articoli della Costituzione: articolo 3 (uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge); 4 (diritto al lavoro); 8 (libertà religiosa); 13 (libertà personale, anche se la Consulta ha recentemente e discutibilmente sostenuto che il lockdown abbia limitato la libertà di spostamento e non la libertà personale); 16 (libertà di circolazione e di soggiorno); 17 (diritto di riunione); 18 (diritto di professare la propria fede religiosa celebrandone il culto); 32 (diritto individuale alla salute); 33 (libertà di insegnamento); 34 (diritto allo studio); 35 (diritto al lavoro); 36 (diritto ad una retribuzione «sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa»); 41 (iniziativa economica privata).
Da quel momento, la questione “salute” è per me passata in secondo piano rispetto alla questione “libertà” – e questo sia nella prima fase, quella dei lockdown, sia nella seconda fase quella della vaccinazione di massa, tanto più che ciò che ora ha “rivelato” la Pfizer, ossia che non erano stati effettuati studi sulla capacità del vaccino di bloccare il contagio, era già dichiarato dalle fonti ufficiali – a saperle individuare e a saperle leggere; era infatti scritto nelle faq dell’EMA, riprese da Aifa e dallo stesso Ministero della Salute. Era quindi chiaro che come non poteva essere imposto come dovere morale e civile il “restiamo a casa”, dato che uscendo si avvicinava solo chi era disposto a lasciarsi avvicinare e a correre quindi l’eventuale rischio di contagio, così e a maggior ragione non poteva imporsi il vaccino come atto di responsabilità, di solidarietà, di senso civico e addirittura di amore fraterno. Pertanto, si era di fronte, al di là di mistificazioni e strumentalizzazioni, ad una scelta personale, la scelta di quale bene per noi avesse più valore. In particolare, si potrebbe dire che dall’inizio del 2020 tutti siamo stati messi di fronte, inequivocabilmente e persino brutalmente, alla domanda sulla libertà: che cosa significa per noi libertà? Quale valore diamo ad essa? A che cosa siamo disposti a rinunciare per salvarla o, all’opposto, quale quota o misura di libertà siamo disposti a cedere, a lasciarci sottrarre, nel timore di perdere altri beni ai quali diamo evidentemente un valore uguale o superiore? Si potrebbe dire che siamo stati tutti quanti smascherati e costretti a mostrare che cosa significava veramente per noi quel famoso verso di Dante che tutti studiammo, che ci emozionò e che scolpisce la figura di Catone l’Uticense. Almeno, così ho inteso io la questione e forse solo con pochi altri. Con pochi altri abbiamo infatti subito deciso che la libertà non era un valore “negoziabile”, perché senza libertà non c’è neanche vera salute, senza libertà non c’è prosperità economica, senza libertà non c’è sicurezza, senza libertà non c’è famiglia e non c’è neanche amore. Tanto più che, almeno a partire dalla fase della vaccinazione obbligatoria, si parlava proprio della libertà originaria, quella costitutiva di ogni altra e di ogni diritto: la libertà di disporre del proprio corpo, senza che nessuno possa manometterlo, abusarlo. La libertà, appunto, dell’habeas corpus, che risale alla Magna Charta ed ha poi avuto una lunga, tormentata, ma gloriosa storia in Occidente
Ma ci siamo dolorosamente accorti di essere in pochi a pensarla così: di fronte a noi avevamo una maggioranza di cittadini che le limitazioni di diritti e libertà le hanno approvate, che anzi in esse, e in particolare nel Green Pass e nell’obbligo vaccinale, non hanno visto pericoli per la propria libertà. E ci siamo trovati di fronte al coro pressoché unanime che si è levato a sostegno delle misure restrittive, il coro dei mass media, dei politici, degli “esperti” convocati dai media stessi e che andavano assumendo essi stessi funzioni politiche e anche al coro del mondo della cultura, degli intellettuali. Credevamo che fosse quantomeno necessario un dibattito, un confronto aperto su provvedimenti che sospendevano tredici articoli della Costituzione, in nome di una “emergenza sanitaria” non prevista e non regolata dalla Costituzione stessa. Credevamo che toccasse ai giuristi, agli uomini di scienza, di autentica scienza, agli storici, ai filosofi, agli stessi medici suscitare questo dibattito. E invece sono state rarissime nel mondo della cultura – giuristi e costituzionalisti compresi – le voci di allarme e di denuncia. Anzi, quando qualcuno ha semplicemente posto il problema si è scontrato con un muro di silenzio, si è visto emarginato, o, peggio, ha dovuto subire delle reazioni al limite del linciaggio morale e mediatico. Come se anche le semplici domande su libertà e diritti fossero inammissibili, fossero scandalose in tempo di «emergenza sanitaria».
Siamo stati così indotti, nostro malgrado, a testimoniare per una libertà che vedevamo ferita, calpestata, oltraggiata, ma ci siamo trovati di fronte a tanti novelli Ponzio Pilato. Come sappiamo a Cristo che gli dice di essere nel mondo per testimoniare la verità, Pilato risponde, nella versione della Vulgata, quid est veritas? E in questi mesi a chi osava porre la questione della libertà che cosa è stato risposto dal politico, dal giornalista, dal medico, dall’intellettuale, dal magistrato, ma anche dal collega di lavoro, dall’amico di una vita o dal familiare? La risposta, sia pure in declinazioni e forme diverse e talora con il semplice eloquente e sfuggente silenzio o con smorfie del viso, suoni gutturali e cenni del capo, la risposta è stata proprio la parafrasi delle parole di Pilato: quid est libertas? Di che libertà stai parlando?
Di fatto non ci siamo mai imbattuti in persone che ammettessero di aver barattato quote della propria libertà per salvaguardare altri beni, fosse pure quello della salute. E quando abbiamo creduto di aver incontrato qualcuno che un simile scambio sembrava proprio averlo fatto e che non pareva affatto preoccuparsi delle discriminazioni che pativa chi invece il baratto non lo aveva accettato, ecco che costui ci rispondeva, proprio come si è risposto ad Agamben e a Cacciari, che non c’era nessuna discriminazione; che il Green Pass o il vaccino sono come la patente e se non vuoi prenderla è una tua “libera scelta” ma non puoi poi pretendere di guidare un’automobile; che non vaccinarsi è come passare con il semaforo rosso e sei libero di farlo ma non puoi lamentarti se poi ti becchi la multa (e la multa in questo caso era l’esclusione dalla vita civile e la perdita del lavoro e della retribuzione…); ci è stato obiettato, soprattutto, che quella di cui noi parlavamo non era libertà, perché “non hai la libertà di andartene in giro a contagiare” e perché – il motivetto di maggiore successo, saldamente in testa alla hit parade dei luoghi comuni spacciati per profonde verità – “la tua libertà finisce dove incomincia quella degli altri”.
Le domande ineludibili su libertà e democrazia
Questa situazione poneva e pone allora alcune domande inquietanti, ma ineludibili. La prima è naturalmente la domanda sulla libertà medesima, la stessa domanda di Pilato in fondo, ma con ben altre motivazioni, senso e finalità, perché a differenza del prefetto romano e dei suoi epigoni attuali non tende ad eludere il problema, ma ad approfondirlo criticamente: che cos’è la libertà? Se ne può dare una definizione univoca o esistono idee diverse di libertà? E, in tal caso, a quali tradizioni storico-culturali fanno rispettivamente riferimento e quali sono stati i risultati di tali idee all’interno di queste tradizioni? Esiste forse una concezione della libertà che può risultare nociva per la stessa libertà e per i diritti fondamentali? È possibile che si limiti e addirittura si sopprima la libertà in nome della libertà, senza che questo sia soltanto un volgare trucco e la libertà di cui si parla un mero inganno?
La prima domanda è questa, perché bisogna prendere atto, con onestà intellettuale, che in questi mesi, in questi anni ormai, si sono scontrate, senza capacità di dialogo, due diverse concezioni di libertà, sebbene francamente una delle due – e non è proprio la nostra – è parsa presentarsi in una versione così volgarizzata e banalizzata da rischiare di ridursi a chiacchiera da bar Sport. Si tratta, per dare una prima sommaria definizione al problema, del peso specifico da attribuire, rispettivamente, alla libertà personale e individuale e alla libertà collettiva, ossia al bene comune o della collettività, si tratta del rapporto fra la libertà dell’individuo e la libertà di tutti, si tratta della definizione del patto sociale che lega i singoli alla comunità.
Ma c’è un secondo nodo problematico: visto il consenso di cui hanno goduto le limitazioni e le restrizioni a libertà e diritti, visto che ci siamo trovati in quello che Aldo Maria Valli ha efficacemente definito un “dispotismo condiviso”, a questa prima questione ne segue immediatamente una seconda altrettanto importante che riguarda il rapporto fra libertà e democrazia e i diversi modelli di democrazia. Libertà e democrazia sono inscindibili, sono due facce della stessa medaglia o sono cose distinte e diverse, sia sul piano teorico che su quello delle concrete costruzioni politico-istituzionali? Libertà e democrazia, laddove si sono incontrate, hanno dato vita a un’unione stabile o si sono di fatto anche separate e scontrate, con l’una che ha abusato dell’altra? Esiste una sola forma di democrazia o vanno distinti, sul piano sia teorico che pratico, sistemi democratici differenti?
La seconda questione ha poi implicazioni drammatiche perché riguarda lo stato di salute della nostra democrazia liberale, parlamentare, costituzionale, la quale sottoposta allo “stress test” della “emergenza sanitaria”, si è lasciata infatti privare di diritti e libertà come fossero beni di poca importanza. Siamo forse in presenza di un passaggio storico cruciale che, sulla scorta di una crisi già evidente della democrazia liberale, e nella acquiescenza o nella indifferenza generale, può condurre alla nascita di un diverso tipo di regime politico, con tratti di dispotismo o addirittura di totalitarismo, sotto la facciata democratica?
E così, dal gennaio di quest’anno in poi, insoddisfatto degli abbozzi, dei frammenti di analisi e delle denunce, sacrosante ma insufficienti, che tutti stavamo condividendo, nell’area cosiddetta del dissenso, ho cercato di indagare più a fondo quello che appariva e appare sempre più chiaramente un passaggio epocale, ho cercato di capire in che condizione ci trovavamo e come ci eravamo giunti. È nato così il percorso “Letture critiche del tempo presente”, percorso che si sta tuttora sviluppando e che diversi amici hanno seguito attraverso i miei video. Dall’approfondimento e la riorganizzazione sistematica di quella riflessione è nato infine il libro, propostomi dal mio editore, Il Terebinto, dall’amico Ettore Barra, pensato come pamphlet, scritto rapidamente tra maggio e giugno, nel periodo in cui – dopo la sospensione e avendo rifiutato anche il “demansionamento” – ho preso un periodo di aspettativa (senza assegni).
Il libro affronta quindi le questioni suddette e, in base ad esse, ne delinea altre che sembrano di cruciale importanza per leggere criticamente il momento attuale. Al lettore offre una ricognizione sia storica che filosofica, condotta con rigore scientifico, ma nello spirito e con il linguaggio, come si diceva, del pamphlet e quindi accessibile a tutti. Una ricostruzione che, in risposta alla prima questione e sulla scia di autori come ad esempio Hayek, Constant, Berlin, individua due diverse idee e tradizioni di libertà – la “libertà da”, libertà dalla coercizione, libertà individuale e personale, da un lato, e la “libertà di”, libertà di poter fare (avere, acquistare, consumare), la libertà come “bene comune” e “interesse della collettività”, dall’altro lato – fornendo una chiave di lettura importante, a mio modesto avviso, per la situazione con cui ci siamo scontrati, il muro di incomprensione e incomunicabilità, l’imprevedibile sconcerto suscitato da parole e azioni che hanno brutalmente contraddetto ciò che credevamo di sapere delle persone intorno a noi, le inquietanti prese di posizione di tanti personaggi pubblici. Tutti, bene o male, sebbene per lo più rozzamente, facevano riferimento alla seconda idea di libertà e non alla prima, che è invece quella storicamente originaria e, a mio avviso, autentica.
Il libro risponde poi alla seconda questione, quella del rapporto fra libertà e democrazia e delle varie forme di democrazia, ricostruendo la classica tesi della “democrazia duale”, dei due diversi modelli di democrazia, democrazia liberale e democrazia totalitaria, quest’ultima con radici nell’Illuminismo e nel giacobinismo (fu dei giacobini il primo progetto moderno di “Great Reset”, che doveva essere realizzato da una élite che si riteneva “moralmente superiore”) e con le sue più significative e tragiche espressioni nei totalitarismi novecenteschi e, in particolare, nel comunismo; una tesi delineata da una serie di autori anche noti come “liberali della guerra fredda” – Talmon, gli stessi Hayek e Berlin, Popper ed altri – ma che ha i suoi precursori in scrittori dell’Ottocento e del primo Novecento, come Tocqueville e Ortega y Gasset, per non risalire ancora più indietro fino a Burke e alle sue profetiche “Riflessioni sulla rivoluzione di Francia”. Anche in questo caso si tratta di una ricostruzione tutt’altro che accademica, perché proprio la confusione o sovrapposizione di libertà e democrazia e di democrazia liberale e democrazia totalitaria crea nella lettura della attuale situazione e di conseguenza nella scelta delle forme e degli strumenti di resistenza e di opposizione degli equivoci catastrofici.
Il pericolo totalitario
Non essendo evidentemente in questione un revival dei classici totalitarismi novecenteschi mi sono interrogato sul pericolo – che è il vero pericolo attuale – di una degenerazione totalitaria della democrazia liberale, di un latente totalitarismo che può covare anche sotto la forma della democrazia liberale e costituzionale, attraverso gli strumenti di potere mediatici e tecnologici. Anche qui si è trattato innanzitutto di seguire la traccia di alcuni studi e di alcuni autori novecenteschi, primi fra tutti quelli della Scuola di Francoforte – Fromm, Adorno, Marcuse – e di Hannah Arendt.
Per arrivare infine a delineare, vista la straordinaria novità e potenza degli strumenti tecnologici e mediatici oggi a disposizione del potere – gli strumenti della Quarta e non più della Seconda rivoluzione industriale (che era invece il quadro di riferimento degli autori appena citati) – la “sindrome totalitaria” oggi incombente, l’incubo distopico di un totalitarismo biopolitico della sorveglianza, costruito in un’emergenza permanente che diviene “stato di eccezione”, sostenuto da un conformismo di massa, da un “conformismo da automi” (Fromm), da una massa che sembra aver perduto “la capacità di pensiero e di esperienza” (Hannah Arendt). Un incubo che ricostruisco non già con le parole di qualche sito cosiddetto complottista, ma con quelle di Schwab e Harari, il presidente del Wef e il suo “ideologo” di riferimento.
In quest’ultima parte del volume ho cercato di pormi in dialogo con quelle rarissime voci del mondo intellettuale italiano che hanno quantomeno incominciato un’analisi seria, di solito intrecciando le categorie biopolitiche di Foucault e quelle giuridiche di Schmitt. Mi riferisco innanzitutto a Giorgio Agamben e a Corrado Ocone, ma anche a Roberto Esposito, sebbene il suo giudizio sulla “politica pandemica” sia praticamente opposto a quello di Agamben e a quello che si propone nel mio stesso libro. Ma evidentemente anche – o soprattutto – le posizioni contrastanti con la propria, quando sono argomentate, sono di stimolo al pensiero. E negli aspetti più strettamente e direttamente inerenti al campo giuridico e al diritto costituzionale mi riferisco poi ai contributi critici di Giuliano Scarselli e alla sua denuncia dello slittamento dello Stato di diritto delineato dalla Costituzione verso uno Stato etico. Non ho potuto purtroppo tener conto del prezioso volume di Davide Rossi, in quanto è uscito quando le bozze del mio testo erano già state licenziate per la stampa. Penso che non sia in fondo un male, perché una pur ampia citazione de “L’Economia delle emergenze” sarebbe stata riduttiva. Rispetto al mio lavoro, Davide Rossi in realtà affronta la questione in una prospettiva diversa, che non è quella della storia delle idee e dei sistemi politici e del modo in cui questi ultimi formano e condizionano i modi di pensare e di sentire delle masse, ma è quella dei grandi poteri economici e finanziari attuali e del loro inestricabile intreccio con il potere politico e militare e quindi con lo Stato. Per fare per una volta il “materialista storico” direi quindi che gli aspetti indagati e denunciati da Rossi sono la “struttura” indispensabile a comprendere la “sovrastruttura” su cui invece è più propriamente centrato il mio lavoro. Fermo restando – e qui smetto l’abito di materialista – che la “sovrastruttura” è intrecciata alla struttura e non è semplicemente determinata da quella. I due aspetti, insomma, si interpretano a vicenda.
Pertanto, ritengo che l’analisi di Davide Rossi sia complementare a quella che ho cercato di svolgere io e ne sia una indispensabile integrazione. Proprio per questo non bastavano delle citazioni e qualche nota: se si ha voglia di seguire il mio discorso è indispensabile conoscere anche il lavoro di Davide Rossi, così come quello di Shoshana Zuboff sul “Capitalismo della sorveglianza” (un altro volume che non ho citato, visto che ogni citazione sarebbe stata sbrigativa e riduttiva e rischiava persino di sembrare fuori contesto).
“Come ne usciamo”?
Giunto alla fine del mio excursus non potevo però certamente sottrarmi alla domanda che è comprensibilmente rituale in questo periodo: “Come ne usciamo?” (versione attuale del “Che fare” di Lenin…).
Intanto, mi pare fondamentale sottolineare e ribadire che, nonostante l’urgenza dei problemi, il momento dell’analisi non si può tralasciare, né risolvere in modo sbrigativo e riduttivo, perché è imprescindibilmente propedeutico a una azione che voglia essere efficace e non sterile o addirittura controproducente.
In tal senso, recuperare sul piano teorico la concezione duale della democrazia e della libertà, rendersi consapevoli di come le stesse democrazie occidentali siano esposte al pericolo della degenerazione totalitaria, serve ad inquadrare concretamente il problema che abbiamo dinanzi e ad evitare diagnosi errate e fuorvianti. Certo, le analisi di autori del secolo scorso vanno recuperate in quanto preziosissime chiavi di lettura dell’attualità, ma vanno poi calate nel contesto del mondo mediatico e tecnologico della Quarta Rivoluzione Industriale. Se, in sostanza, si delinea un nuovo mostro totalitario, questo va interpretato – e combattuto – nel contesto della Quarta e non della Seconda Rivoluzione Industriale, se si vogliono evitare equivoci che poi portano a lottare con armi arrugginite.
Mentre si continua a sviluppare e approfondire l’analisi, è comunque certamente necessario intravedere una direzione e un percorso che possano salvare il bene irrinunciabile della libertà: la “ricerca della libertà” – il titolo del libro parafrasa quella ricerca della felicità (the pursuit of happiness) considerata un “diritto naturale” nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, nella convinzione di chi scrive che non c’è felicità se non nella libertà – comporta un impegno sia teorico che pratico.
Al momento, più che di una strategia si può parlare forse soltanto di indicazioni e suggestioni. Nel libro escludo in modo perentorio che la salvezza possa venire dallo Stato (e quindi da un qualsivoglia governo o leader o partito politico), in quanto esso, lo Stato, il potere politico – inseparabile come è dai grandi poteri finanziari, militari e mediatico-tecnologici – è più che mai e veramente il problema e in nessun modo la soluzione. Mi chiedo, invece, nelle conclusioni, se possa esistere una forma di regime a sovranità popolare, quindi di democrazia, che sia autenticamente libertaria, oltre il modello, ormai in crisi, della democrazia liberale otto-novecentesca; considero anche questa ricerca di una diversa forma di democrazia inseparabile da quella di una alternativa di società e di sistema economico, per l’intreccio a cui accennavo. Sono anche e soprattutto convinto, infine, che una simile alternativa di sistema, per essere credibilmente e solidamente perseguita, non può che fondarsi su un forte impegno etico e civile, che eviti tuttavia il terribile e ricorrente rischio del fanatismo, che sia alimentato da una fede autentica, intesa come vocazione e servizio, una fede che, lungi dal mortificarla, possa aprire ogni spazio alla libertà umana
In sostanza, la libertà che avevamo almeno in parte conquistata in un lento, faticoso, drammatico cammino, dobbiamo ora rifondarla.
L’alternativa che abbiamo di fronte, oltre la fase attuale, dopo – ne sono convinto – l’inevitabile e rovinoso fallimento di quest’altro Leviatano totalitario, di questo delirante e criminale progetto di transumanesimo, si gioca tra un nuovo dispotismo e la ricostruzione, finalmente dal basso, di una nuova libertà. L’esito non è affidato, però, alla sorte, ma dipende da come si sarà lavorato per ricostruire sulle macerie quella libertà che è stata così insopportabilmente ferita. Il mio scritto vuole essere essenzialmente un sia pur minimo contributo a questa ricostruzione.
Come ordinare il libro
Il libro è disponibile sia in formato cartaceo che come e-book.
Si può ordinare
• Direttamente all’editore – Edizioni Il Terebinto – sia comprandolo online (https://www.ilterebintoedizioni.it/negozio/saggistica-storica/la-ricerca-della-liberta/)
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