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“MERITOCRAZIA” E “PROFESSIONALIZZAZIONE” OVVERO LA DISTRUZIONE DELLA SCUOLA

Mentre il PD promette “stipendi in linea con la media europea” agli insegnanti, come se al governo e a capo del Ministero dell’Istruzione in tutti questi anni ci fossero stati gli extraterrestri e non il PD stesso o sue emanazioni, quale è invece la proposta del centro-destra per la scuola? Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, nei punti programmatici appena diffusi, si propongono innanzitutto, riguardo alla scuola, di “rivedere in senso meritocratico e professionalizzante il percorso scolastico”.

Meritocrazia e professionalizzazione, dunque. Incominciamo dalla prima. Sarebbe facile rilevare come la rivendicazione della “meritocrazia” sia diventata da anni il mantra di tutti e innanzitutto di coloro che non sono stati selezionati con alcun criterio “meritocratico”. Niente altro che una vuota declamazione retorica, quindi. Ma proviamo a prenderla sul serio questa formula convenzionale, per smontare un equivoco.

Sfugge a tantissimi la fondamentale differenza tra “merito” e “valore”. Il merito non può avere alcuna misura oggettiva. I suoi criteri e parametri sono sempre decisi da qualcuno, da una qualche “autorità”. E questa autorità può essere o quella statale – con la sua corte di pseudo-esperti e pseudo-pedagoghi – o quella dell’attuale “mercato”, che non ha nulla a che vedere con il “libero mercato”, perché è dominato da potentati economici o economico-finanziari. In tal senso, nella scuola italiana la “meritocrazia” c’è già, da anni, ed è proprio questa “meritocrazia” che la sta distruggendo. C’è la meritocrazia di Stato, quella della “nuova didattica”, incrociata alla meritocrazia dell’Invalsi, emanazione e strumento dei potentati economici di cui si diceva.

È questa meritocrazia che ha prodotto la scuola di oggi, magistralmente e lapidariamente definita da Elisabetta Frezza come “un incrocio tra un luna-park e un laboratorio di rieducazione etico-sociale. Una sorta di allevamento di ominidi in batteria, allestito come un villaggio vacanze, con animatori addestrati”. Una meritocrazia che seleziona e premia gli “animatori addestrati” che meglio riescono ad allevare “ominidi in batteria”.

Ben altra cosa dal “merito” è il “valore”. Il valore è una misura oggettiva o relativamente oggettiva, perché è dato da ciò che qualcuno è disposto a riconoscere a qualcun altro – alle sue capacità, competenze, conoscenze, abilità, al suo valore appunto – cedendo – direttamente o indirettamente – qualcosa di suo o rinunciando a qualcosa di suo per usufruire di quelle capacità, competenze, conoscenze ossia per usufruire del valore di quell’altro. Si tratta di uno scambio, quindi, che si può esprimere certamente in termini monetari, ma non necessariamente. Uno scambio che definisce il valore, come misura oggettiva, ma che può sussistere solo in un mercato libero all’interno di una società libera e, nel nostro caso, in una scuola libera.

Scuola libera sarebbe quella che determinasse carriere e retribuzioni degli insegnanti sulla misura di valore appena delineata e nella quale gli insegnanti aiutassero gli studenti a costruire il proprio personale valore. Questa sarebbe la sana “professionalizzazione”. Se non che, se ci fosse davvero questo tipo di professionalizzazione, fondata sul “valore” e non sul “merito”, si scoprirebbe immediatamente che essa ha imprescindibilmente alla base non già delle singole e specifiche “competenze” o “abilità”, ma una formazione critica, non già delle conoscenze specialistiche, ma quella che Socrate e Platone chiamavano “sapienza”. Una “professionalizzazione” che presuppone la paideia degli antichi Greci, la Bildung della lingua tedesca.

Nel quadro attuale, invece, la scuola “professionalizzante” è precisamente quella che, molto spesso con la complicità delle famiglie, nega agli studenti proprio questa formazione umana e critica, questa paideia, questa Bildung. La scuola che pretende di aiutare i giovani a “inserirsi sul mercato del lavoro” è precisamente quella, per dirla sempre con la Frezza, perché meglio non si potrebbe dire, che non sa stare “un passo indietro rispetto alla vita”, che non sa “indicare il valore delle cose che sanno di infinito” che non sa “insegnare l’altezza, la profondità, la distanza”, ma che dà agli studenti “una spolverata di informazioni assortite”, che “deprime sul nascere ogni tentazione analitica e ogni anelito speculativo”, che innalza a sistema e a metodo di lavoro la superficialità e l’approssimazione.

La scuola disegnata dal centro-destra – per tornare alle miserie elettorali – non si distingue quindi in nulla dalla scuola costruita dal PD in questi anni. Tanto è vero che è stato proprio nell’unica breve parentesi in cui c’è stato un ministro leghista all’Istruzione – tal Bussetti o qualcosa del genere – che si è riusciti a introdurre l’insegnamento cardine della “rieducazione etico-sociale”, ossia l’Agenda 2030 spacciata per “educazione civica”.

Per la scuola occorrerebbe davvero un cambiamento di sistema. Ed è semplicemente ridicolo pensare che questo cambiamento si possa produrre tracciando un segno con la matita su una scheda elettorale.

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