
È necessaria una premessa: qui si tratterà del “Gesù storico” o “Gesù terreno”, tenendo conto di un importante filone di ricerca sul tema che ha avuto inizio a metà Settecento ed ha conosciuto tre diverse fasi (denominate in ambito anglosassone Old quest, No quest e Third quest). L’argomento dovrebbe suscitare interesse sia nel credente che nel non credente (il quale non può evidentemente precludersi la conoscenza di una figura che ha avuto una tale importanza per la storia del mondo). L’uno e l’altro, tuttavia, per motivi diversi, rischiano di incorrere in catastrofici equivoci quando si accostano alla questione del “Gesù storico”.
Riguardo al credente, l’evidenza che la fede non possa ricevere né conferme, né smentite dai fatti storici potrebbe portarlo a ritenere irrilevante la stessa dimensione storica della figura di Cristo. Questa dimensione storica è invece proprio un elemento centrale e imprescindibile della fede biblica. Il Dio biblico non è il Dio trascendente e impassibile dei filosofi pagani, ma si manifesta e agisce nella storia e, nel Nuovo Testamento, in Gesù e attraverso Gesù, che è Logos incarnato, “vero uomo e vero Dio”, come recita la formula di Calcedonia, e solo così può essere il Salvatore e il Redentore della confessione di fede.
Il non credente, invece, potrebbe accostarsi al Gesù storico, per cercare in lui il “vero Gesù”, da contrapporre al Gesù della teologia, delle confessioni di fede e degli stessi racconti evangelici, considerati, esattamente come avveniva nelle varie “vite di Gesù” dell’Ottocento, delle narrazioni mitologiche da smascherare. Questa prospettiva – che poi è quella della Old Quest – è stata abbandonata negli studi biblici da un secolo e mezzo, ma continua a dominare la divulgazione laica colta o pseudocolta (Corrado Augias, ad esempio).
Se si è determinati ad evitare questi equivoci, si può allora seguire tranquillamente il discorso che cercherò di sviluppare e che riguarderà un momento specifico della vita terrena di Gesù, vale a dire il suo drammatico epilogo, con il processo e la condanna a morte.
Chi condanna a morte Gesù e perché? I quattro Vangeli, sia pure con accenti diversi, sono concordi: a volerlo morto fu l’élite giudaica, i sommi sacerdoti, gli anziani, in sostanza i cosiddetti sadducei (mentre i farisei non compaiono nella scena della morte). Riguardo all’autorità romana e quindi a Pilato, gli evangelisti non negano il suo ruolo di giudice, ma lo dipingono come succube quasi delle autorità giudaiche e della folla, convinto dell’innocenza di Gesù, preso da scrupoli morali e flebilmente impegnato a salvarlo. Alla fine, nonostante gli sforzi dei racconti evangelici di non mettere in cattiva luce il governatore romano, nell’immaginario collettivo la sua figura si è scolpita come quella di uno che fugge dalle proprie responsabilità e il celebre gesto del lavarsi le mani, divenendo proverbiale, è stato anche travisato rispetto all’intenzione degli evangelisti.
I Vangeli, tuttavia, non sono, né vogliono essere opere storiografiche e, se è inevitabile usarli anche come fonti storiche nella ricerca di cui stiamo parlando, devono ovviamente essere sottoposti al vaglio critico imprescindibile per qualsiasi fonte storica. I racconti evangelici, anche se in misura diversa, sono condizionati dal momento storico in cui furono redatti. Siamo al tempo della seconda generazione cristiana. Allontanandosi la parousia – il ritorno in gloria di Cristo – la cui attesa era stata vivissima nella prima generazione, era divenuta ormai centrale la necessità di una convivenza con il potere romano: occorreva difendere la memoria di Gesù di fronte ai Romani, assolvendo Pilato e colpevolizzando i giudei. Riguardo a questi ultimi, va poi tenuto presente che almeno tre dei quattro Vangeli vengono sicuramente scritti dopo la drammatica rottura del 70 d.C. La repressione della rivolta giudaica – a cui i giudeo-cristiani si sono rifiutati di prender parte – e la distruzione del Tempio creano una frattura tra le due uniche correnti del mondo giudaico sopravvissute all’evento, che sono appunto il cristianesimo e il giudaismo della sinagoga e della Torah, il giudaismo rabbinico. Ne fanno le spese, nei Vangeli, e in particolare in quello di Giovanni che è il più tardo, i giudei tutti, compresi i farisei, mentre l’accesa ostilità nei confronti di Gesù venne probabilmente solo dai sadducei, ossia dalla élite del Tempio. Questi ultimi certamente mossero l’accusa contro Gesù e probabilmente ne chiesero anche la morte, ma la sua effettiva condanna fu sotto la piena responsabilità dei Romani e in particolare di Pilato.
Che il responsabile giudiziario della morte di Gesù sia stato Pilato è dato storico accertato, attestato dalle poche ma significative fonti disponibili (Tacito e Flavio Giuseppe) e soprattutto dal titulus crucis – altro dato storico certo – che documenta come Gesù sia stato condannato come pretendente giudaico al trono e ribelle al potere romano. Il titulus crucis indicava la causa poenae e le fonti cristiane lo citano concordemente così: “Re dei Giudei”. Evidentemente i cristiani non avevano alcun interesse a qualificarlo in tal modo, per cui l’elemento storico è attendibile. Il supplizio della croce, poi, era riservato, come si sa, innanzitutto ai ribelli.
Il ritratto evangelico di Pilato, per i motivi suddetti, è poco attendibile storicamente. Pilato, in una situazione difficile per non dire esplosiva, riuscì a governare per ben dieci anni, dal 26 al 36, classificandosi al secondo posto per durata tra i governatori della Giudea. Fu certamente deciso, duro e abile e non fece nulla per evitare contrasti con i giudei, apparendo piuttosto noncurante, almeno quando si trattava di affermare l’autorità imperiale, delle loro tradizioni religiose. La figura storica è quindi per molti versi opposta a quella che ci consegnano i Vangeli. Tuttavia, dovette avere un’ottima intesa con Caifa – il Sommo Sacerdote, che resta in carica fino al 36, stesso anno di Pilato. Certamente si può parlare di una stretta collaborazione fra autorità romana e giudaica nella condanna di Gesù.
I giudei che accusano Gesù sono nei Vangeli i sommi sacerdoti (così venivano definiti quello in carica, i suoi predecessori e alcune figure istituzionali del Tempio come il tesoriere) e gli anziani (l’aristocrazia laica del Tempio), ma un ruolo speciale deve averlo avuto Caifa, il Sommo Sacerdote in carica. Probabilmente non c’è stato un vero processo giudaico, ma solo un interrogatorio, che i Vangeli trasformano in processo, sia per enfatizzare le colpe del potere giudaico, sia per far risaltare la confessione di Gesù come Messia. Si può dire, in definitiva, che le autorità giudaiche, e Caifa in particolar modo, ebbero il ruolo di pubblica accusa o pubblico ministero e Pilato quello di giudice.
Stabilito questo – Gesù fu accusato dall’élite giudaica, giudicato e condannato da Pilato e quindi da Roma – il secondo punto da chiarire è evidentemente la causa poenae: quali accuse portano Gesù sulla croce? Non è problema semplice, sul piano storico, e sono state prospettate una molteplicità di soluzioni. Bisogna restare al dato di fatto incontrovertibile: Pilato condanna Gesù per un motivo politico, ossia per la pretesa regalità del Nazareno. Lo attestano, come si diceva, il titulus crucis, lo confermano nella sostanza le narrazioni evangeliche e alcuni loro elementi in particolare, come l’interrogatorio giudaico che verte intorno alla messianicità e gli oltraggi che subisce che sono quelli di un re da burla.
Questo dato incontrovertibile, tuttavia, non risolve ancora la questione, ma pone una serie di interrogativi. Come fu possibile questa accusa, visto che, a quanto pare, Gesù non si proclamò mai re di Israele e Messia? Perché, l’élite giudaica si sentì tanto gravemente minacciata da volerne la morte, atteso che la contestazione della casta politico-sacerdotale era molto diffusa nel giudaismo del tempo, che esistevano movimenti di opposizione ben più radicati e strutturati, come gli esseni e gli stessi farisei, per non parlare di sicari e zeloti?
Pare che Gesù sia stato avvertito come una minaccia mortale per la sua contestazione del Tempio. Non può trattarsi, tuttavia, del gesto provocatorio in sé stesso – il cacciare i venditori e rovesciare i banchi dei cambiavalute nel cortile del Tempio – perché quel gesto non contesta il culto in sé stesso, ma la sua corruzione, è nella linea dell’annuncio profetico e rappresenta una opposizione meno radicale di quella, ad esempio, di Qumran. Vi è però la parola, ben più dirompente, sulla distruzione del Tempio, attestata da una molteplicità di fonti, recepite in tutti i Vangeli. Ciò che forse inquieta l’aristocrazia sadducea è dunque l’annuncio escatologico di Gesù, soprattutto perché esso sembra avere immediate conseguenze politiche, perché – come scrive Giuseppe Barbaglio (Gesù ebreo di Galilea. Indagine storica) – “finiva per mettere in discussione poteri, gerarchie, posizioni acquisite, privilegi, in breve lo status quo”. E perché, come dice Caifa nel Quarto Vangelo, l’annuncio di Gesù poteva sobillare le folle e condurre a una reazione violenta di Roma, che avrebbe poi distrutto il delicato equilibrio di potere tra i dominatori romani e l’élite giudaica.
Politico è dunque il motivo dell’accusa, così come certamente politica è la condanna da parte di Ponzio Pilato. In termini giuridici, Gesù fu condannato per il crimen maiestatis populi romani imminutae, ossia per aver messo in discussione e minacciato il potere di Roma.
Eppure, non risulta – e anche questo elemento è storicamente accertato – che Gesù abbia mai invitato ad una insurrezione e a una rivolta armata e abbia mai avuto a che fare con zeloti e sicari – anche se si è spesso ipotizzato che alcuni dei suoi seguaci lo fossero – la congettura riguarda in particolare Giuda. Questa opzione viene anzi apertamente e ripetutamente sconfessata da Gesù. Nel contempo è però da escludere che gli accusatori si siano inventati tutto e che egli sia stato condannato per errore. Per sostenere l’accusa e ottenere la condanna si dovevano portare a Pilato elementi di un certo peso:
“nessun malinteso o equivoco”, scrive Barbaglio, “è morto per quello che ha voluto essere ed è stato”.
Barbaglio ritiene comunque che, a prescindere dalle reali intenzioni di Gesù, Romani e Giudei del Tempio abbiano considerato reale il pericolo che la folla vedesse in lui il messia regale e il liberatore di Israele e potesse quindi insorgere.
Mi sembrano, tuttavia, piuttosto aleatori gli elementi che possano far ritenere fondato questo pericolo: non pare che Gesù avesse già un seguito così largo che potesse essere avvertito come una minaccia grave ed imminente. L’episodio di Barabba è con ogni probabilità una costruzione evangelica, volta, come si diceva, a colpevolizzare i Giudei e ad assolvere Pilato (non c’è tra l’altro alcuna testimonianza esterna ai Vangeli, circa il preteso uso di liberare un prigioniero per Pasqua), ma è probabilmente costruito su un elemento reale, che poi riecheggerà nelle tradizioni cristiane post-pasquali: vi erano stati casi, forse uno proprio riferito a un certo Barabba, di clemenza nei confronti di ribelli o di membri di gruppi di opposizione armata. E questo rende ancora più singolare l’inflessibilità nei riguardi di Gesù.
Salvo che Caifa e Pilato non avessero acutamente compreso ciò che tanti cristiani non hanno mai compreso e che continuano a non comprendere: l’annuncio di Cristo, ove il genitivo da soggettivo diventa oggettivo dopo Pasqua (l’annuncio di Cristo diventa annuncio su Cristo), quando se ne capisce e valuta correttamente la portata escatologica, non è né un invito alla ribellione o alla instaurazione del suo Regno qui sulla terra, come costruzione politico-religiosa, né una esortazione alla acquiescenza, alla obbedienza passiva, alla fuga e alla evasione nel trascendente e in un remoto futuro. È invece un messaggio che mette in discussione i poteri del mondo, più di quanto non facciano tanti rivoluzionari e contestatori politici. E per questo inquieta e addirittura atterrisce i potenti. Ma viene da chiedersi, oggi più che mai: quanti hanno veramente raccolto e raccolgono, per rilanciarlo, per portarlo nella propria vita, per testimoniarlo pubblicamente, l’autentico annuncio di Cristo? La sensazione è che oggi Erode, Pilato e Caifa possano dormire sonni tranquilli.
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