Categorie
letture critiche del tempo presente

CHI COMANDA IN UCRAINA? DEGLI “AUTENTICI DEMOCRATICI” O DEI “DROGATI NEONAZISTI”?

Chi è al potere in Ucraina? Un governo e un presidente democraticamente eletti, come sostiene l’Occidente con i suoi media mainstream, o un gruppo di “drogati neonazisti” insediatisi in seguito a un golpe, come sostiene Putin e ripetono i suoi supporters, anche nei canali della “controinformazione”?

Vediamo di capirci qualcosa, in modo distaccato e senza farci coinvolgere dalla canea delle opposte tifoserie.

È inevitabile incominciare dalla figura del presidente Zelens’kyj. Personaggio singolare, indubbiamente. Incominciamo col dire che i genitori di Zelens’kyj sono ebrei – cosa abbastanza strana per uno che viene accusato di comandare una combriccola di nostalgici di Hitler – e pure di madre lingua russa. Si è laureato nel 2000 in Giurisprudenza, ma ha sempre lavorato nel mondo dello spettacolo come attore e direttore artistico. La sua notorietà risale a una serie televisiva di grande successo, comica e di satira politica – Sluha Narodu, “Servitore del popolo” – nella quale, udite udite, interpretava il ruolo del Presidente dell’Ucraina. Da questa serie pluripremiata, nasce, nel 2018, un omonimo partito politico, che poi candida lo stesso Zelens’kyj alla Presidenza della Repubblica.

Zelens’kyj, peraltro, non è certo il primo attore, come è ampiamente noto, a passare dal set alla Presidenza di uno Stato – anche se nel caso più famoso la cosa avvenne parecchi anni dopo – o a fondare un movimento politico di successo. Di questo partito parleremo più avanti. Soffermiamoci per ora sulla folgorante ascesa di Zelens’kyj: candidato alla Presidenza all’inizio del 2019, dopo una campagna nella quale utilizza abilmente sui social e sui media le sue capacità di attore, Zelens’kyj ottiene uno strabiliante successo sul Presidente uscente Porošenko, con il 73% dei voti. Questo plebiscito ha la sua principale ragione nel profondo e diffuso malcontento nei confronti di Porošenko e di tutta la vecchia classe politica ucraina. Porošenko, all’opposto di Zelens’kyj, ha infatti alle spalle una lunga, ventennale carriera politica ed ha giocato un ruolo di primo piano in tutta la convulsa storia dell’Ucraina dal momento dell’indipendenza, dopo il crollo dell’URSS. Ha spesso assunto posizioni filo-russe, ma nel 2014 è stato lui a firmare il primo accordo con l’Unione Europea e a incominciare il processo di avvicinamento alla Nato. Tra le accuse nei suoi confronti, quella di occupare ogni ruolo pubblico di vertice con i suoi uomini e di aver notevolmente accresciuto il suo patrimonio personale.

Zelens’kyj viene quindi eletto sull’onda di una domanda di rinnovamento e di “moralizzazione” della politica che sa cavalcare molto bene. Nel suo programma, c’è, tra l’altro, la continuazione del processo di adesione all’UE e alla Nato, processo che peraltro è stato avviato, come si è detto, dal suo predecessore e rivale.

In ogni caso la sua è una elezione praticamente plebiscitaria, con notevole successo anche nelle aree orientali e russofone. Appena eletto, non potendo contare su una maggioranza parlamentare, decide di indire nuove elezioni. Non mancano le polemiche della opposizione, specie filorussa, ma la Corte Costituzionale ucraina proclama la legittimità dello scioglimento anticipato del Parlamento e peraltro le elezioni vengono anticipate soltanto di tre mesi (luglio 2019) rispetto alla scadenza naturale della legislatura (ottobre).
Anche queste elezioni legislative segnano un grande successo per Zelens’kyj, o meglio per il suo partito, che ottiene il 44% dei voti, una soglia che nessun movimento politico aveva mai raggiunto prima. Il partito di Porošenko, invece, ottiene solo il 9% e il partito filo-russo “Blocco di opposizione” si ferma all’11,5%.

Nella politica che ha finora svolto, francamente non si trovano elementi di “neonazismo” (tra l’altro è a favore della cannabis e contro la vendita libera di armi). Si potrebbero, però, citare le dichiarazioni sulla controversa figura di Stepan Bandera, nelle quali ha peraltro preso atto del fatto che per molti ucraini Bandera è un “eroe nazionale” (definizione che è innanzitutto un riconoscimento ufficiale, fin dall’alba della indipendenza ucraina). Bandera, peraltro, è un tipico esponente del nazionalismo ucraino del tragico periodo della seconda guerra mondiale, più che un “filonazista”: come tutto l’esercito nazionalista polacco, si schierò inizialmente con i tedeschi in funzione antisovietica e il suo movimento collaborò purtroppo allo sterminio di polacchi ed ebrei – macchia che grava non solo sui nazionalisti ucraini, ma anche su quelli bielorussi o lituani o lettoni – per poi rivoltarsi anche contro l’occupazione tedesca, tanto che i nazisti lo arrestarono più volte e addirittura lo deportarono per un periodo a Sachsenhausen, rilasciandolo in seguito solo nella speranza di usarlo per fomentare la resistenza antisovietica. I familiari di Bandera furono significativamente perseguitati sia dai tedeschi che dai sovietici: alcuni finirono ad Auschwitz ed altri nei gulag di Stalin. Bandera fu infine raggiunto da sicari sovietici nel 1959 a Monaco di Baviera e ucciso con una pistola caricata a cianuro di potassio.

In ogni caso, la tragica e sinistra storia di questo personaggio non ha nulla a che vedere con l’attuale presidente ucraino e neanche con quella del suo partito, del quale adesso è necessario dire qualcosa.

Lo strepitoso successo elettorale, oltre che dall’onda che si chiamerebbe da noi di “antipolitica” che aveva appena portato Zelens’kyj alla Presidenza, pare sia stato favorito dall’appoggio di altri movimenti e notabili politici, anche vicini ad “oligarchi” ucraini. Le posizioni “ideologiche” del partito sembrano più che altro confuse – ed anche questo è del resto tipico di questi movimenti: in un primo momento, lo stesso Zelens’kyj definisce di carattere libertarian il nucleo ideologico del movimento, ma poi il segretario del partito Kornienko afferma che questa caratterizzazione deve essere mutata, per tener conto delle varie anime interne, e definisce la nuova “ideologia”, “qualcosa tra liberalismo e socialismo”. In ogni caso, precisa Kornienko, Sluha Narodu è un partito centrista, che rigetta radicalismi ed estremismi. Più concretamente, il partito porta avanti la linea di avvicinamento ad Europa e Nato, ha una sua bandiera nella lotta alla corruzione, favorisce gli investimenti occidentali, intende promuovere la lingua ucraina e certamente cavalca il nazionalismo, ma in modo prudente, non tanto, a quanto pare, per la sua dichiarata collocazione moderata, ma perché Zelens’kyj sa bene che i suoi principali antagonisti sono ormai i politici filorussi e che il sostegno della popolazione russofona è di notevole importanza.

Insomma, un personaggio politico e un movimento specchio dei tempi, con un indiscutibile consenso popolare – specie se si tiene conto del fatto che fino al 2018 la classe politica ucraina era una delle più screditate del continente – ma senza rilevanti tracce di “neonazismo”. A questo punto è lecito esprimere quantomeno il dubbio che le motivazioni dell’intervento di Putin non siano precisamente quelle espresse nella sua virulenta campagna politica. In particolare, a parte la questione del “neonazismo”, non corrisponde al vero che l’attuale classe dirigente ucraina si sia insediata con il “golpe del 2014” (vicenda che peraltro sarebbe da approfondire, e cercheremo magari di farlo in seguito): all’epoca, Zelens’kyj era un attore e il suo partito, ora partito di maggioranza, non esisteva neanche. Non  sembra decisivo neppure l’avvicinamento alla Nato e alla UE, che sono incominciati da anni e non ad opera dell’attuale classe di governo.

La vera novità, che potrebbe spiegare la reazione di Putin, è un’altra: mai, dalla caduta dell’URSS, i movimenti e gli esponenti politici ucraini di tendenze filorusse e comunque parzialmente manovrabili o “gestibili” da Mosca, erano scesi a livelli così bassi di consenso ed erano stati così nettamente estromessi – in seguito alle doppie elezioni del 2019 (presidenziali e legislative) e non a “colpi di stato” – da ruoli di governo. Zelens’kyj e Sluha Narodu, come si diceva, hanno raccolto consensi anche nelle province orientali del Donbass. Questo elemento, parallelamente, certo, all’ulteriore avvicinamento, non tanto alla Nato, ma all’UE, lascia temere a Putin che l’Ucraina possa affrancarsi da quella soggezione a Mosca che, al di là della retorica nazionalista di tutta la sua classe politica, non è affatto venuta meno dopo il 1991 e che si fonda soprattutto sulla dipendenza energetica (Mosca ha usato alzare o abbassare in misura notevolissima la tariffa del gas esportato in Ucraina, a seconda del grado di “amicizia” del governo ucraino).

La forza dell’attuale governo ucraino, derivante dalla sua legittimazione popolare, non garantisce peraltro il futuro del paese, che sembra invece prendere sempre più il posto che è stato tradizionalmente occupato per più di due secoli dalla vicina Polonia: il classico vaso di coccio tra vasi di ferro.

================================