
Uno dei campi di ricerca più importanti e, a mio avviso, di preziosa attualità dei filosofi della cosiddetta Scuola di Francoforte, ossia degli autori raccolti a partire dal 1922 intorno all’Istituto per la ricerca sociale della città tedesca, fu quello dei meccanismi e delle dinamiche di tipo psicologico, nel senso della psicologia sociale, che portavano le masse, e in particolare determinati gruppi sociali, ad aderire ai regimi e ai partiti e movimenti totalitari, specificamente al nazismo. Questa ricerca si espresse negli studi sulla cosiddetta “personalità autoritaria”, che a loro volta furono possibili grazie a quella originale e audace fusione di marxismo e psicoanalisi realizzata nella Scuola di Francoforte.
Per una introduzione alla Scuola di Francoforte, cfr. questa breve videolezione:
Il programma di ricerca è evidente già in un articolo del 1932 di Erich Fromm – che era membro sia dell’Istituto per la Ricerca sociale, sia dell’Istituto psicoanalitico di Francoforte. Fromm rileva sia la fondamentale affinità di intenti fra Marx e Freud – il comune proposito di andare oltre le idee, la coscienza e le sue autorappresentazioni, smascherando l’”ideologia” come sovrastruttura e mistificazione (il che consentirà a Ricoeur di accomunarli tra loro e con Nietzsche sotto la definizione di “maestri del sospetto”), sia l’apparente e radicale lontananza delle loro motivazioni. Nella medesima valutazione materialistica della coscienza, vista come espressione superficiale di una struttura profonda, l’uno, Marx, identifica tuttavia questa struttura con il modo di produzione, ossia con fattori di ordine economico-sociale e storico-sociale, mentre l’altro, Freud, la riconduce all’inconscio e quindi a un dato psicologico-individuale. Ma proprio questa radicale diversità rende proficua la sintesi delle due prospettive: l’individuo è infatti sempre e costitutivamente un essere sociale, un prodotto storico-sociale, come d’altra parte, i processi sociali si realizzano sempre attraverso gli uomini concreti e attraverso l’interiorizzazione nella loro psiche.
Sulla linea indicata da Fromm, si mossero poi gli Studi sull’autorità e la famiglia del 1936, uno dei principali lavori collettivi della Scuola (oltre al contributo di Fromm vi furono quelli di Horkheimer e Marcuse). Negli anni Quaranta, emigrati ormai in America i filosofi francofortesi in seguito all’avvento del nazismo (molti di loro erano ebrei) e alla chiusura dell’Istituto e della rivista, furono realizzate una serie di ricerche sulla “personalità autoritaria”, coordinate da un’altra grande figura della scuola, Adorno. Gli studi furono pubblicati nel 1950, ma era già apparsa, nel frattempo, l’opera più nota in questo filone di ricerca, ad opera proprio di Erich Fromm: Fuga dalla libertà.
Fromm parte da una evidente constatazione (che mi pare di drammatica attualità): le ottimistiche illusioni sulla forza della democrazia e sull’attaccamento dei popoli al bene della libertà sono tragicamente crollate: “siamo stati costretti a riconoscere che in Germania milioni di persone erano ansiose di cedere la loro libertà quanto i loro padri lo erano stati di combattere per conquistarla; che invece di volere la libertà cercavano modi per evaderne; che altri milioni di persone erano indifferenti e non credevano che valesse la pena di combattere e morire per difendere la libertà”.
Fromm aggiunge:
“E non importa quali simboli scelgano i nemici della libertà umana: si può minacciarla attaccandola nel nome del fascismo dichiarato come sotto la copertura dell’etichetta dell’antifascismo”.
E rileva quindi, con altra considerazione che pare di folgorante attualità:
“Se vogliamo combattere il fascismo dobbiamo comprenderlo: l’ottimismo non ci aiuterà. E la recitazione di formule ottimistiche si dimostrerà inadeguata e inutile come il rituale di una danza indiana della pioggia”.
Da qui il progetto di ricerca: analizzare quella struttura di carattere dell’uomo moderno che lo porta a desiderare di rinunciare alla libertà, per comprendere come “la libertà può diventare un peso troppo pesante da portare, qualcosa da cui l’individuo cerchi di fuggire” e perché per molti essa sia una minaccia piuttosto che un bene prezioso.
C’è forse una soddisfazione occulta – si chiede Fromm – nel sottomettersi, ad autorità manifeste, come un capo, o ad autorità interiorizzate, come il dovere, o ad autorità anonime, come l’opinione pubblica?
Per comprendere il fascismo bisogna riconoscere che esso non fa leva su forze razionali, ma su forze psicologiche, sotterranee, che quindi “desta e mobilita nell’uomo forze diaboliche”.
Il problema è tipico della società moderna, perché deriva dai processi di individualizzazione e di alienazione. L’individualizzazione ha creato le condizioni della libertà, come in nessun’altra epoca precedente, ma ha anche isolato le persone, recidendo i legami comunitari. Il capitalismo, nel mentre ha prodotto i processi suddetti, ha poi ridotte gli uomini a merci, legando il valore di ognuno al proprio successo sul mercato e, nella fase attuale, caratterizzata dal dominio del capitale monopolistico, ha nello stesso tempo ridotto e frustrato le possibilità di autonoma affermazione su questo stesso mercato. Da qui il senso di solitudine e di impotenza che è l’humus da cui nascono i meccanismi di fuga dalla libertà.
Fromm individua tre meccanismi: l’”autoritarismo”, la “distruttività” e il “conformismo da automi”.
Per una loro dettagliata descrizione, cfr. questa videolezione, per abbonati al mio canale You Tube
L’autoritarismo si fonda sulla tendenza sadica e quella masochistica, che sebbene sembrino opposte, nascono in realtà da uno stesso terreno e sono anche regolarmente compresenti nella stessa persona, per cui occorre parlare di carattere sado-masochista. Ciò risulta anche più chiaro nelle espressioni sociali di questo carattere: I due aspetti sono sempre compresenti e ciò risalta ancora più chiaramente nelle loro espressioni sociali: in entrambi i casi, quello del sadismo e quello del masochismo, si è legati all’autorità. La personalità autoritaria ammira l’autorità e vi si sottomette, ma nello stesso tempo vuole essere egli stesso un’autorità e sottomettere gli altri. Questa struttura psicologica è per Fromm la base umana del fascismo.
Mi sovviene, a questo punto, una vecchia intervista di Montanelli a Enzo Biagi. Montanelli diceva che il colpo di genio del fascismo era stato quello di dare a tanti italiani, nel mentre li sottometteva al regime, “un piccolo potere di cui abusare”. Si tratta di niente altro che della dinamica sadomasochista aguzzino-vittima, con la vittima che diventa a sua volta aguzzino di altre vittime. Mi sovvengono anche i “piccoli persecutori”, i “caporali” di cui parla Dietrich Bonhoeffer, martire della resistenza al nazismo, figure responsabili del successo del regime non meno dei grandi mostri, dei grandi malvagi, come Hitler, Himmler o Goebbels. E mi sovviene anche, e mi inquieta, la tesi di Gobetti sul fascismo come “autobiografia della nazione italiana”: rilevando come l’attuale governo abbia distribuito a tanti italiani, con il sistema del Green Pass, proprio “un piccolo potere di cui abusare”. Speriamo che questa nazione non stia scrivendo la seconda edizione della sua famigerata autobiografia…
Tornando a Fromm e ai suoi “meccanismi di fuga dalla libertà”, il più importante e diffuso è il terzo (il secondo è la distruttività, legata a quello che Freud chiamava l’”istinto di morte”, rimando ancora al video sopra citato per una descrizione particolareggiata, e naturalmente al libro di Fromm): il “conformismo da automi”. Questo meccanismo coinvolge soprattutto individui che appaiono e sono considerati perfettamente normali. La radice è sempre la stessa, ma qui l’individuo cessa di essere sé stesso, adottando idee, sentimenti, desideri che rispondono al modello dominante. Tende quindi a divenire come tutti gli altri, un automa identico a milioni di automi. Anche in questo caso si vince l’isolamento, ma il prezzo pagato è la perdita della libertà e della individualità. Il conformismo da automi è spesso ben mascherato, perché idee e sentimenti vengono espressi con convinzione – talora anche con particolare accanimento – dalla persona in questione, sicché ai suoi occhi e agli occhi della maggior parte delle persone che lo circondano sembrano effettivamente i suoi. In realtà, egli ha l’illusione di avere una sua opinione, ma ha adottato quella di una autorità, tipicamente veicolata dai media.
“Ciò che è vero per il pensiero e il sentimento”, scrive Fromm, “lo è pure per la volontà. La maggior parte delle persone sono convinte che finché un potere esterno non le costringe manifestamente a fare qualcosa le decisioni che prendono sono loro”. È una illusione, perché la maggior parte delle decisioni sono condizionate dall’esterno, anche se ci si persuade che si è trattato di una scelta personale, di una “libera scelta”. In realtà ci si è conformati e uniformati alle aspettative degli altri, spinti dalla paura dell’isolamento, dell’insignificanza, del rifiuto, della disapprovazione sociale.
Si resta come folgorati leggendo queste frasi, scritte 80 anni fa, e usandole come chiave di lettura delle situazioni odierne. Non c’è proprio il “conformismo da automi” nella passiva obbedienza alle “regole” più palesemente insensate e illogiche di tantissimi nostri concittadini, nell’adottarle e farle proprie in un modo ancora più insensato e illogico, perché così fanno tutti (la mascherina indossata da soli in auto o quando si esce a gettare i rifiuti), perché diventano un segno di appartenenza ad una informe collettività in cui si lascia naufragare la propria individualità, ricevendone conforto?
E come non pensare ai tanti che sostengono di essersi vaccinati per una loro “libera scelta” e che, con il bombardamento mediatico a cui assistiamo e con gli strumenti di intimidazione e ricatto usati nei confronti di coloro che volessero fare una diversa “libera scelta”, cadono evidentemente nella stessa illusione di cui parlava Fromm?
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