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LE ELEZIONI DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DELLA NOSTRA INFANZIA

Avevo solo nove anni, ma stranamente mi appassionai a quelle elezioni e seguii quasi tutti gli scrutini (e furono molti). Forse perchè sembrava una gara sportiva, combattuta e incerta, forse perchè i “grandi” ne parlavano come di un fatto importantissimo e perchè, soprattutto a casa di mio nonno materno, si cresceva a pane e politica. E poi c’era quell’aria solenne e l’impressione, che in qualche modo arrivava anche a un bambino, di una partecipazione rituale e collettiva.

Quando infine fu eletto il Presidente della Repubblica stavo con altri bambini della famiglia nell’appartamento accanto a quello dei miei nonni, appartamento che era poi della sorella di mia nonna. Erano vecchie case magiche, nella fantasia di noi bambini, quelle case di via Matteotti, una centralissima strada della mia città, con quei lunghi corridoi, i soffitti altissimi che ti davano le vertigini, la dispensa che appena aperta ti investiva di buoni odori, la stufa a carbone in cucina, le camere da letto che davano l’una nell’altra con porte interne che non venivano però mai aperte e che ci facevano immaginare che dietro non ci fosse l’altra camera che ben conoscevamo, ma l’accesso a una dimensione fatata. E poi, nell’appartamento di mio nonno, c’era l'”antistudio”, come lo chiamavano, che era il necessario e discreto accesso allo studio vero e proprio, dove, appena varcata la soglia, restavi stupito, intimidito e ammirato, un po’ come accadeva, suo malgrado, dinanzi alla figura stessa di mio nonno e non solo a noi bambini, ma credo proprio a tutti. E, dall’altra parte dell’interminabile corridoio, la grande sala da pranzo, il centro della vita della casa e il luogo delle riunioni familiari, domenicali, natalizie e delle altre feste.

I “grandi” erano lì, quel giorno, o nel piccolo “tinello” attiguo dove c’era il vecchio televisore che ogni tanto “impazziva”, mandando immagini caleidoscopiche, sicchè mio nonno doveva farlo rinsavire con dei sonori ceffoni sulla sommità. A noi bambini ci avevano forse spediti nell’altro appartamento perchè non disturbassimo con i nostri giochi i grandi che dovevano seguire lo scrutinio. Eravamo peraltro eccitatissimi perchè era quasi Natale. Ci sorvegliava la donna di servizio, come allora si diceva, che in realtà era ormai una persona di famiglia, specie per noi bambini che la ricordavamo da sempre, in quanto da molti anni viveva con questa mia prozia, una sorella di mia nonna. Si chiamava Gianna. Anche lì, c’era un televisore acceso, perchè pure Gianna voleva seguire le elezioni. E io stesso ero più attirato dal televisore, dalla voce roboante di Pertini, allora Presidente della Camera, che leggeva i nomi sulle schede scrutinate, che dai giochi. Infine, dopo tanti scrutini andati a vuoto, proprio quel giorno fu eletto il Presidente. E mentre Pertini si apprestava a proclamarlo, la signora Gianna ci disse: “su bambini, alzatevi in piedi e applaudite il nuovo Presidente”. Lo facemmo con entusiasmo.

Quando tornammo nell’altro appartamento, trovammo i grandi intenti a scambiarsi commenti sull’avvenuta elezione. E quello che mi colpì fu che dicevano che mio nonno conosceva bene, conosceva personalmente il nuovo Presidente, che poi era Giovanni Leone. Ma mio nonno non confermava, né smentiva. Che si fossero conosciuti era vero: entrambi avvocati e napoletani, sebbene mio nonno si fosse trasferito ad Avellino fin dagli anni Trenta, entrambi membri della Costituente. Ma credo che non avessero ormai più contatti diretti e peraltro alla Costituente, che era poi cosa di più di venti anni prima, erano in gruppi differenti, perchè mio nonno era del partito repubblicano (mentre mi pare che Leone fosse uno dei non pochi democristiani monarchici).

Negli anni successivi, Leone fu oggetto come tutti sappiamo di una violenta campagna di stampa denigratoria. Io, che ero ormai un adolescente, immerso nel clima di quegli anni Settanta, cresciuto a pane e politica, con mio nonno di politica ormai ci parlavo spesso e a lungo. Ma non ricordo alcun suo giudizio su Leone e sui presunti scandali che si diceva lo coinvolgessero (a fronte delle micidiali battute di altre persone di famiglia su donna Vittoria, la moglie del Presidente). A distanza di tanto tempo, ho poi capito che mio nonno non parlava mai, ma proprio nel senso che non gli sfuggiva neanche una parola, di cose delicate, gravi, che meritavano rispetto e che tuttavia non potevano essere facilmente comprese, non potevano liquidarsi con qualche frase, non potevano esporsi alla facile chiacchiera. E come non disse mai una parola sulla sua famiglia d’origine, sulle sue vere origini sociali (forse imbarazzanti per uno che si era impegnato nella battaglia per la Repubblica e contro la Monarchia nel 1946), su un suo sventurato fratello, così non parlava di Leone. E sempre a distanza di anni, ho poi concluso, da parte mia, che Leone sia stato il più istituzionalmente corretto dei Presidenti, ormai molti, di cui abbiamo fatto diretta esperienza. Ma in quello scrutinio si erano fronteggiati a lungo altri due candidati: Fanfani e Nenni. Due giganti della politica italiana del Novecento, qualunque giudizio politico se ne voglia dare. E se penso invece a chi è venuto dopo, a chi sono gli attuali papabili, mi prende una tristezza mortale. Altro che alzarsi in piedi ad applaudirli!

Mio nonno oggi avrebbe 119 anni. Leone ne avrebbe solo 5 di meno. Nenni morì prima di loro, vecchissimo, in una notte di Capodanno di 40 anni fa e più. Quasi tutte le voci che risuonavano in quelle vecchie e magiche case di via Matteotti sono ormai spente da tempo. L’edificio è ancora lì, o almeno ne è rimasto un simulacro, dopo che è stat0 ristrutturat0. Mio nonno l’aveva già lasciata da parecchi anni quella casa e l’aveva solo in affitto, perchè il pensiero di acquistare un appartamento, benchè ne avesse certamente la possibilità, non lo sfiorò mai. neanche in quegli anni, tantomeno in quegli anni in cui tantissimi italiani poterono permetterselo.

Ogni tanto ci passo, per via Matteotti. Il cuore accelera sempre i battiti quando arrivo davanti al portone. Mi viene alla memoria l’immagine dei pochi scalini di marmo e del vecchio ascensore, di quelli senza ancora le porte automatiche e con le funi di acciaio e gli ingranaggi in vista. Un ascensore che non ricordo mai funzionante. Hanno messo una porta a vetro che impedisce di osservare da fuori la scala interna. Mi prende sempre l’impulso di provare ad aprirlo, il nuovo e antipatico portone, ma mi trattengo. Preferisco immaginare che dietro i vetri ci sia ancora il solito ascensore e che al terzo piano ci siano ancora quelle stanze magiche. E poi bisogna lasciarlo in pace quel vecchio mondo, il mondo dei televisori in bianco e nero che avevano bisogno dei ceffoni per funzionare e degli ascensori che non funzionavano affatto , il mondo di Fanfani e di Nenni, di Leone e di mio nonno, delle dispense e delle stufe a carbone. Che poi è il vero mondo e il vero tempo in cui si è formata e continua ad abitare la mia anima e merita rispetto, perchè è solo grazie a questo che ho la forza di vivere e di combattere in quest’altro orribile mondo e in questo spregevole tempo nel quale chissà come siamo precipitati.

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