Nei giorni scorsi, il filosofo Giorgio Agamben, in una audizione alla Camera nell’ambito della discussione del DL 177 che ha introdotto il cosiddetto “Super Green Pass”, ha rievocato una delle prime leggi di discriminazione e di persecuzione adottate dal regime nazista la “Legge per la protezione dei caratteri ereditari” del 14 luglio 1933. Questa legge non riguardava in particolare gli ebrei, ma qualunque cittadino tedesco – gli “ariani” dunque – che fosse considerato portatore di malattie ereditarie, e si inseriva in una linea di politica eugenetica, nata ben prima del nazismo e che nel nazismo avrebbe portato all’orrore del cosiddetto progetto T4 con lo sterminio delle “vite indegne di essere vissute”. Il riferimento operato da Agamben è quindi quanto mai utile ad elevare di tono un dibattito e una polemica, finora di basso profilo, tra coloro che, più o meno provocatoriamente, accostano i provvedimenti dell’attuale governo alla persecuzione antiebraica nel nazismo e i tanti che reagiscono ritenendo indebito, assurdo, offensivo il paragone. Si tratta invece, punto primo, di considerare nel suo insieme la politica e la legislazione nazista di discriminazione e di persecuzione, rilevando come essa era rivolta a “proteggere”, a “immunizzare” il popolo, il Volk, tedesco sia dal pericolo o dal “contagio” esterno – tale era considerato quello originato dall’ebreo – sia dal pericolo e dal “contagio” interno, che poteva provenire invece da qualsiasi cittadino tedesco “anormale” e “deviante”. E si tratta, punto secondo, di inserire poi questa politica nazista in una linea che attraversa tutta la modernità, che inizia nell’Ottocento e prosegue dopo la caduta del nazismo.
Come ha scritto Corrado Ocone (Salute o libertà), l’eugenetica, lungi dall’essere un corpo estraneo, un deviante abominio della modernità, ne è parte integrante. L’eugenetica è un “grande rimosso”, in quanto l’abbiamo considerata “un’esperienza efferata del passato”, propria del nazismo, mentre essa nasce ben prima del nazismo, nel clima del positivismo tardo-ottocentesco e, sia come ideologia che come prassi, non ha interessato solo i regimi totalitari, ma ha coinvolto regimi sia conservatori che progressisti, dispotici e liberal-democratici. Le sterilizzazioni di massa furono teorizzate innanzitutto in Gran Bretagna e Francia (come del resto un francese e un inglese furono i primi teorici della razza e dell’antisemitismo – Gobineau e Chamberlain) e furono realizzate, prima che in Germania, negli USA, in Svizzera e nei paesi scandinavi. È “una storia rimossa, occultata”, ma niente affatto inattuale e che soprattutto è “strettamente legata al senso della modernità”. L’idea di fondo è quella di una politica che si serve della scienza per i suoi progetti di “ingegneria sociale”, per il progresso e il miglioramento dell’umanità. Un’idea che porta inevitabilmente alla biopolitica e quindi anche all’uso della biologia genetica.
Questa premessa può servire ad inquadrare la questione delle leggi eugenetiche naziste e a capire che esse dovrebbero essere un (inquietante) elemento di riflessione sull’attualità, una riflessione che si possa elevare al di là della sterile e piuttosto rozza polemica di cui si diceva.
La legge citata da Agamben stabilisce, all’articolo 1, che “chiunque sia affetto da malattie ereditarie potrà essere sterilizzato chirurgicamente se a giudizio della scienza medica, sia prevedibile che la sua progenie possa presentare gravi difetti fisici o mentali”. Si elencano, quindi, una serie di malattie ereditarie o presunte tali, tra cui schizofrenia, depressione maniacale, epilessia congenita, cecità, sordità e gravi malformazioni ereditarie, ma si aggiunge che “potrà essere sterilizzato anche chi è affetto da alcolismo cronico”. La legge “offriva” alle persone rientranti in queste categorie la facoltà di sottoporsi volontariamente a sterilizzazione. Nel caso di minori o incapaci la richiesta poteva essere presentata dal loro tutore. Il punto decisivo è però all’articolo 3, ove, abbattendo la cortina della libera scelta – già insussistente per minori e incapaci – si afferma che “la sterilizzazione potrà essere prescritta anche da: 1. un ufficiale medico 2. un funzionario che presti servizio in un ospedale, in un sanatorio o in una prigione”. È quindi a discrezione di tali figure, rappresentanti della “scienza medica”, la valutazione sul carattere ereditario di sordità, cecità e generiche malformazioni e del carattere cronico dell’alcolismo e la richiesta di sterilizzazione coatta che viene inoltrata ad una apposita “Corte per la sanità ereditaria” (articolo 4) le cui procedure sono “segrete” (articolo 5).
Il programma eugenetico già delineato nella legge del luglio 1933 trova poi il suo tragico sviluppo nel noto progetto denominato Aktion T4, dall’indirizzo – Tiergartenstrasse 4 – della sede centrale dell’Ente per la salute e per l’assistenza sociale. E qui va già notato che questo criminale programma di eugenetica, che porterà alla soppressione di almeno 200.000 individui, si presenta sotto l’insegna della salute e dell’assistenza sociale.
Prima di soffermarci su alcuni elementi dell’Aktion T4, è bene rimarcare che l’eugenetica nazista, oltre al retroterra europeo e nordamericano a cui si accennava, muoveva anche da specifici precedenti tedeschi. Si può citare innanzitutto Adolf Jost, autore nel 1895, di un volume intitolato Das Recht auf den Tod («Il diritto alla morte»). Come ha rilevato Robert Jay Lifton, autore del celebre studio su I medici nazisti, il “diritto alla morte”, per Jost appartiene all’organismo sociale e allo Stato (non all’individuo) che lo esercitano per salvaguardare l’integrità del Volk. È però durante la crisi seguita alla sconfitta nella Prima Guerra Mondiale, negli anni Venti, che si sviluppa potentemente un movimento eugenetico tedesco, nel quale si muovono come inquietanti precursori del nazismo Alfred Hoche e Karl Binding, che parlano di un diritto a uccidere le lebensunwerten Lebens, letteralmente le “vite indegne di vita”, le “vite senza valore”.
Hitler si collegherà quindi a questa area estrema del movimento eugenetico. Va notato come nei suoi discorsi il Führer, seguito dagli altri capi nazisti, adotti spesso metafore mediche per definire il nemico da annientare e il pericolo che questi arrecherebbe (gli ebrei sono un “virus”, dice, e bisogna difendersi dal loro “contagio” o sono un “cancro” da estirpare). Va notata la sovrapposizione di diagnosi medica e giudizio politico e morale e quindi l’inestricabile intreccio di politica e medicina, politica e scienza: secondo una direttiva di Martin Bormann, «nel formulare una diagnosi di debolezza mentale», il medico avrebbe dovuto «tener conto del comportamento morale e politico di una persona» (I medici nazisti).
In ogni modo, la legge del 1933 che intende impedire la procreazione degli “anormali”, e che porta in sei anni alla sterilizzazione di un numero di persone stimabile fra le 200.000 e le 350.000, è il primo atto di una tragedia che nell’ideologia eugenetica nazista ha la sua logica prosecuzione nella soppressione stessa di quelle vite, in quanto indegne di essere vissute, prove di valore. Ragioni di opportunità – innanzitutto, la preoccupazione per la prevedibile protesta delle chiese e quella per le reazioni internazionali– convinsero Hitler a rinviare il programma di sterminio eugenetico che era già ben delineato nella sua mente fin dal 1933 (e si può dire già all’epoca del Mein Kampf) e a dispiegarlo pienamente solo nel 1939, una volta incominciato il conflitto mondiale. Gli anni precedenti furono quindi di preparazione propagandistica. I media di regime predisposero l’opinione pubblica e in particolare la classe medica all’idea che la difesa della salute pubblica e dell’integrità del popolo e lo stesso progresso della scienza richiedessero radicali interventi sugli “anormali” e che le vite di questi ultimi avessero minor valore – se non addirittura nessun valore.
Vi fu comunque e già prima della guerra, nel 1938, un orribile prologo del piano Aktion T4 e riguardò i neonati e poi anche i bambini fino a tre anni. Su Aktion T4 si cercò di mantenere una assoluta segretezza, affidandone la gestione a una particolare sezione della Cancelleria del Reich, che non era un organo di governo ed era anche sostanzialmente autonoma nella organizzazione del partito ed era inoltre distinta e separata anche dagli altri uffici della Cancelleria. Tuttavia, il coinvolgimento dei medici e delle ostetriche da un lato, dei genitori dei bambini dall’altro, fu inevitabile. Medici e ostetriche furono inizialmente invitati a segnalare tutti i bambini con determinate malattie e malformazioni, ufficialmente per formare una sorta di “archivio scientifico”. Che i fini fossero altri si poteva, però, già facilmente sospettare. Ai genitori veniva poi detto che i loro bambini avrebbero ricevuto delle cure d’avanguardia in centri specializzati. Ma i bambini regolarmente morivano nel giro di poche settimane e si cercava di confortare madri e padri con l’idea che i loro disgraziati figlioletti avessero almeno contribuito al progresso della scienza. Non sappiamo quanti genitori abbiano creduto effettivamente alla storia, ma certamente alcuni cominciarono ad opporre resistenza, quando gli si chiedeva l’autorizzazione ad inviare i figli in questi speciali centri pediatrici, e furono “convinti” con la minaccia di toglier loro la custodia legale di tutti i figli – compresi quelli non disabili e non inseriti nel programma T4. Quanto ai medici, alcuni di loro furono direttamente e attivamente coinvolti e furono corresponsabili del genocidio, quelli ad esempio della commissione che dopo le prime settimane di “osservazione” decideva la soppressione dei piccoli e quelli che poi materialmente la effettuavano (ora con iniezioni letali, ora con farmaci, ora lasciandoli semplicemente morire di inedia). Nel 1941, di fronte alla protesta aperta delle chiese, il programma fu ufficialmente chiuso – si calcola che erano stati uccisi 5000 bambini – ma in realtà proseguì ancora clandestinamente. L’ultimo neonato fu soppresso addirittura alla fine di maggio del 1945 a guerra ampiamente finita e a regime crollato e questo è un fatto che già da solo dà la dimensione dell’attivo e convinto coinvolgimento di burocrati e medici.
Nel 1939 si passò quindi alla soppressione degli adulti con disabilità fisiche e mentali, cominciando però non in Germania, ma in Polonia, con la “pulizia” dei locali ospedali, psichiatrici e non. Il programma di sterminio fu ben presto esteso alle stesse regioni tedesche e seguì sostanzialmente lo stesso modello già applicato ai bambini. Il coinvolgimento di un numero elevato di individui – compresi dopo l’inizio della campagna di Russia gli stessi soldati tedeschi gravemente mutilati – tolse ogni aura di segretezza alla cosa. Pertanto, crebbero le proteste, negli ambienti burocratici e militari e poi soprattutto da parte delle chiese. Nel 1941 Hitler decise di mettere fine ufficialmente ad Aktion T4, anche se le uccisioni proseguirono in modo meno sistematico. In realtà, stava per cominciare la terza fase del programma eugenetico nazista, quella dei lager, della “soluzione finale”, una fase indirizzata prevalentemente contro gli ebrei.
Aktion T4 appare quindi preludio e preparazione della Shoah con diretti elementi di continuità: tra l’altro, nella soppressione dei disabili adulti, visto il costo delle iniezioni letali, si era adottata e sperimentata la procedura delle camere a gas, con il monossido di carbonio e non ancora con lo Ziklon B, e si era incominciato ad indicare la eliminazione delle persone in questione con la stessa espressione che Hitler e i suoi useranno per gli ebrei dei lager: “trattamento speciale”.
Vi è quindi una tragica continuità nella politica eugenetica nazista dalla legge per la protezione ereditaria del luglio 1933 ad Aktion T4 ealla Shoah, e questa politica a sua volta si inserisce, certamente come un unicum di orrore, ma non come un corpo estraneo, in una storia che riguarda tutto l’Occidente moderno. Ed è la storia di un potere che si fa biopotere, che si manifesta come potere biopolitico, come potere che interviene direttamente sulla vita e dichiara di volerle proteggere, risanare, guarire, prolungare e migliorare. Ma, come scrive Ocone, “per raggiungere questo obiettivo è costretto a eliminare gli agenti patogeni e i contagi con una opportuna profilassi. Quindi a separare con un taglio chirurgico il ‘sano’ dal ‘malato’”, a imporre quello che Foucault chiamava il “marchio binario”, escludendo, emarginando “scartando” gli uni per “immunizzare” gli altri.
È una storia che non appartiene al passato, ma che ci riguarda e ci interpella. E se in certi aspetti, quelli più manifestamente orribili, sembra davvero appartenere al passato, si tratta di quel “passato che non passa” di cui discutevano anni fa gli storici del nazismo.
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