Dove vogliono arrivare? È questa la domanda fondamentale e urgente che dobbiamo porci. Moltissimi, sicuramente ancora la maggioranza della popolazione, crede che vogliano arrivare lì dove dichiarano: a debellare la pandemia per ritornare alla “normalità”, al “mondo di prima”. Ora, se c’è qualcosa che è contraddetto da tutti i dati di fatto che abbiamo a disposizione – come vedremo più avanti – è proprio questa dichiarazione di intenti. Prestarle fede, come fanno tanti, è quindi credere ad una favola consolante, significa lasciarsi trattare da ingenui creduloni.
Nel campo opposto, una minoranza, significativa e agguerrita, non crede affatto alla storiella suddetta – che poi dipinge governi, industrie farmaceutiche e altri poteri economici, corporazioni di interessi e lobbies professionali, come altrettanti benefattori dell’umanità – ma non ha ancora le idee chiare sui reali obiettivi che si stanno perseguendo. O meglio: c’è chi mostra di avere le idee fin troppo chiare, ma, a mio avviso, semplifica pericolosamente una realtà complessa, salta sbrigativamente alle conclusioni e con facili “teorie del complotto” presta il fianco alla diffamazione ed emarginazione di tutte le voci critiche, anche quelle più serie e ragionevoli. In sostanza, rischia di fare il gioco proprio di quei soggetti che pensa di combattere.
Conoscere con precisione strategia e obiettivi dell’avversario, senza semplificazioni ed equivoci, è invece di fondamentale importanza in una lotta, se si vogliono avere chances di successo.
Cercheremo quindi, con una accorta e lenta riflessione, di approssimarci alla verità, senza escludere una possibilità: che non ci sia una strategia unica e un solo obiettivo, ma che soggetti diversi si trovino temporaneamente e di fatto alleati – senza alcun bisogno di immaginare riunioni segrete sul Britannia o altrove – perché i loro interessi, in parte e in questo momento, sono sufficientemente compatibili; e che solo qualcuno – o magari nessuno – di questi soggetti abbia una idea chiara della meta da raggiungere, ma che stiano navigando a vista, scegliendo di giorno in giorno la rotta più conveniente.
Incominciamo dalla grande industria farmaceutica, da “Big Pharma”, ma non perché sia il burattinaio che muove tutto e che ha al suo servizio quasi tutti i governi del mondo: l’idea che i governi fossero meri “agenti del capitale monopolistico” è uno schematismo riduttivo del marxismo “ortodosso” degli anni Venti e Trenta del Novecento, una semplificazione che si rivelò disastrosa per la comprensione del fascismo e che fu poi abbandonata dagli stessi studiosi marxisti; ed è curioso vederla oggi rinascere in tante persone che non si considerano affatto marxiste e anzi si ritengono talora degli accaniti anticomunisti. Partiamo da Big Pharma, perché l’elemento centrale di tutta la messinscena è un virus, ed è un virus che fin dall’inizio non si è voluto combattere con i farmaci molto economici già disponibili – i semplici antiinfiammatori, innanzitutto, e poi l’idrossiclorochina, l’azitromicina, il cortisone – ma con i vaccini; e ne sono stati fabbricati già 260. Perciò, un primo elemento da chiarire è questo: anche se in Europa abbiamo attualmente tre vaccini somministrati ed è in arrivo il quarto, i vaccini già “sperimentati” (con una procedura drasticamente abbreviata chiamata fast track) o in corso di sperimentazione, sono appunto 260 e centinaia sono le ditte che puntano alla loro commercializzazione. Non si tratta quindi, in prospettiva, solo di un affare di Pfizer o AstraZeneca o Johnson, ma del complesso dell’industria farmaceutica.
Ma che cosa vuole l’industria farmaceutica? Quale è il suo obiettivo, quale il suo interesse? Pensare che voglia semplicemente fare affari con un vaccino, cogliendo l’occasione propizia offerta da una pandemia, è una spiegazione riduttiva. Per capire meglio bisogna partire da due considerazioni di fondo. La prima riguarda non solo Big Pharma, ma tutte le grandi corporation. Nella attuale economia, che si può definire della globalizzazione competitiva, non ci sono più limiti e non ci sono più confini agli obiettivi di espansione di una grande azienda, non ci sono più quei limiti e quei confini che esistevano prima, nell’epoca fordista. Come scrivevano anni fa le menti pensanti della sinistra – prima che si giocassero il cervello, perdendolo – i limiti dell’espansione di una grande azienda oggi coincidono con i confini dell’universo. E ciò non tanto per avidità di potere e di ricchezza, come pensa chi legge in chiave moralistica le dinamiche economiche, ma per la logica stessa del mercato globale in una società che resta competitiva, ma è – almeno in Occidente – a “crescita zero”.
Se ora applichiamo questo dato all’industria farmaceutica, troviamo ciò che in realtà i più avvertiti hanno compreso già da decenni: il grande mercato di questa industria non sono i malati, che sono relativamente pochi, ma sono i sani. Il target è, potenzialmente, l’intera popolazione. Naturalmente, per vendere farmaci ai sani, bisogna convincerli che ne hanno bisogno, o perché sono malati a loro insaputa o quantomeno soggetti a grave rischio o perché potrebbero ammalarsi. La prima strada è quella che ha portato – per citare un caso paradigmatico – ad abbassare radicalmente il livello di colesterolo giudicato normale e non pericoloso; la seconda strada è – tra l’altro – quella dei vaccini. Per fabbricare e vendere farmaci, l’industria farmaceutica ha quindi bisogno di fabbricare e vendere paura – e le servono evidentemente alleati per questa operazione – e ha bisogno di fabbricare malattie. Chiarisco: non è necessario pensare che il Covid 19 sia stato deliberatamente fabbricato in qualche laboratorio – cosa della quale non esistono prove. È sufficiente capire come un virus accidentalmente in circolazione, come tanti altri, possa venir presentato come un flagello, nonostante una mortalità molto ridotta. E come, soprattutto, tutti i dati su cui si basa la narrazione dominante siano in realtà facilmente manipolabili, perché si fondano su uno strumento diagnostico – i cosiddetti “tamponi” – usato del tutto impropriamente e quindi inattendibile (lo vedremo più avanti, seguendo una vera scienziata, la dr.ssa Bolgan).
Se questi sono i presupposti per capire come si muove l’industria farmaceutica, è molto ingenuo pensare che essa stia lavorando a un vaccino “salvifico” che ci consentirà di risolvere rapidamente e definitivamente il problema e di ritornare alla normalità. Purtroppo, questa è proprio la storiella che ci viene propinata da governi e media e alla quale i più continuano a credere.
Ma non è sufficiente chiarire le linee generali di condotta dell’industria farmaceutica, perché il discorso resterebbe ancora relativamente astratto. Occorre esaminare i dati di fatto disponibili per il caso specifico.
Tralasciamo qui il problema, peraltro centralissimo e decisivo, della “sicurezza” dei vaccini e concentriamoci su quello della loro “efficacia”. (“I vaccini sono sicuri ed efficaci” è il dogma della nuova fede religiosa che il regime terapeutico ci ripete e che ci invita a ripetere mille volte al giorno, è il nuovo Credo, la nuova confessione di fede).
Tutti i dati di fatto di cui siamo a conoscenza smentiscono l’efficacia dei vaccini e ci portano a concludere che i vaccini sono perfettamente inutili – come dice la dr.ssa Bolgan – e che probabilmente saranno dannosi. Naturalmente, questo è vero se utilità e danno si valutano in base all’obiettivo dichiarato, ossia “sconfiggere il Covid”, perché se invece utilità e danno si valutano su altri obiettivi e si precisa “utilità per chi” e “danno per chi”, allora il discorso cambia.
- Prendiamo il dato dichiarato dalle aziende, in base alle sperimentazioni (in fast track) che sono state condotte. Il vaccino più efficace dovrebbe essere Pfizer, con il 95%, mentre altri si collocano decisamente più in basso. Astra Zeneca, per esempio, solo al 58% e veniva consigliato originariamente solo agli under 55, se non che poi si è visto che proprio gli under 55 o under 60 corrono un più elevato rischio di reazioni avverse fatali, sicché mezza Europa lo ha vietato alle fasce di età più giovani. Il che vuol dire che l’efficacia di questo vaccino è oggi assolutamente imprecisata. Ma ragioniamo su Pfizer e seguiamo la logica stringente della Bolgan: «Sappiamo che i primi dati che sono stati forniti dalle aziende avevano un’efficacia del 95%, ed è quello che ha permesso alla Pfizer di essere in commercio. Questo 95% viene fuori da un calcolo matematico, ma bisogna anche andare a vedere la significatività di quel dato. Posso semplicemente applicare una formula matematica e mi viene fuori il 95%. Però, devo anche andare a vedere il significato del dato nel contesto in cui viene fatta la misurazione.
Se ho 20.000 persone vaccinate, 20.000 persone non vaccinate e, di queste, 10 si infettano nel gruppo dei non vaccinati e 5 nell’altro gruppo (dico numeri indicativi, non corretti per il calcolo), allora può anche venire fuori il 95% di efficacia, ma la riduzione del rischio è ridicola. Hanno fatto la valutazione dell’efficacia in un momento in cui l’epidemia non c’era più. Quindi le persone non si sono infettate. Avrebbero dovuto dire che niente sapevano del rischio-potenziamento e dell’efficacia, perché le persone non si sono infettate. Però, se non avessero fatto così, non avrebbero potuto commercializzare il prodotto. Quindi, per vedere la reale efficacia di questi vaccini dovremo aspettare che finisca l’epidemia. A luglio-agosto sapremo quante persone vaccinate si sono re-infettate». Aggiungerei che, come è stato mostrato da uno studio pubblicato sul “The New England Journal of Medicine”, il dato del 95% si riferisce al complesso della popolazione, ma se si analizzano le diverse fasce di età si scopre che proprio in quelle più anziane e che maggiormente avrebbero bisogno di essere protette dal vaccino, non vi è alcuna significatività statistica (https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2034577?fbclid=IwAR39pfEvuML4JdYglnBRJSUMknaAc_JF_WCDr59L_DhwvuTLvZvxJ1Dq_y4)
- L’efficacia dichiarata, e già discutibile, non esclude affatto, poi, la possibilità di essere contagiati, come è chiarito sugli stessi siti dell’Ema, dell’Aifa e del Ministero della Salute, ragion per cui i vaccinati sono sottoposti alle stesse restrizioni dei non vaccinati, quali mascherine, distanziamento, quarantena (lo ha ribadito nei giorni scorsi anche il Consiglio di Stato francese, respingendo il ricorso di un vaccinato che pretendeva di andarsene in giro liberamente).
- Non è noto, ma non è affatto escluso – cito ancora una volta i siti ufficiali delle agenzie del farmaco e del governo – se il vaccinato oltre a poter risultare positivo, anche dopo la seconda dose, come del resto le cronache di queste settimane già mostrano ampiamente, possa essere anche contagioso e trasmettere il virus ad altri. Peraltro, gli stessi virologi cari alla politica, come Lo Palco, affermano che questa non è solo una possibilità, ma una certezza: il vaccinato può contagiare.
- Tutto questo, però, varrebbe se il virus non mutasse – e porterebbe comunque già a concludere sulla inefficacia del vaccino a debellare l’epidemia – se non ci fossero le cosiddette “varianti”. Ma le varianti ci sono e non sono solo quelle “naturali”, tutto sommato benefiche, ma sono ormai proprio quelle indotte dal vaccino e che provocano vaccino-resistenza. Per cui i vaccini si rivelano non solo inutili e inefficaci, ma dannosi e controproducenti. Seguiamo ancora la dr.ssa Bolgan: «Lei, in un’intervista, ha detto: “Questi vaccini, potrebbe fungere da catalizzatore nella formazione di varianti, sui quali non solo sono inefficaci, ma possono anche avere un profilo di patogenicità diverso. Quindi, potremmo anche avere dei virus più pericolosi dal punto di vista della neurotossicità o dell’immunotossicità”. Questi vaccini, quindi, creano nuovi virus? Risposta: “Sì. Questo fenomeno l’avevo segnalato con grande preoccupazione già a maggio dell’anno scorso perché questo virus, quando si replica, utilizza un enzima che si chiama RNA polimerasi RNA dipendente. Questa polimerasi non è molto precisa e quindi produce errori quando va a replicare l’RNA, e questo porta alla formazione dei mutanti. Anzi, alla formazione d’intere popolazioni che si distinguono per delle piccole mutazioni, ma che sono molto ampie. Quindi, quando la persona s’infetta, in realtà si è infettata con una popolazione di mutanti, non solo con un virus. Se la persona è vaccinata, ha degli anticorpi che sono selettivi per quei virus che hanno la stessa sequenza della proteina del vaccino. Quindi, i virus che non vengono colpiti dagli anticorpi vaccinali, avranno modo di essere favoriti nella loro replicazione. Più sono diversi dalla sequenza del vaccino, più avranno possibilità di replicarsi in modo favorevole e quindi di resistere al vaccino.
Da qui la vaccino-resistenza che non è altro che la formazione di una variante. Quindi, in questo momento, le varianti sono necessariamente selezionate dal vaccino. Abbiamo avuto varianti anche dal Covid perché, nel corso dell’epidemia, sappiamo che se ne sono progressivamente formate con il passaggio da persona a persona. Ma, quello che abbiamo visto con queste varianti, è che avevano via via acquisito delle mutazioni che le hanno rese sempre più attenuate. Quindi, un virus che incontra l’uomo per la prima volta dapprima porta l’epidemia (perché il sistema immunitario non lo riconosce), ma poi attenua la sua capacità d’indurre la malattia e quindi procede verso lo stato endemico. Ovvero, infetta le persone senza che queste sviluppino i sintomi della malattia. Dico questo perché, per la Sars del 2003 (per la quale non s’è visto il vaccino, che non è stato prodotto a causa di una reazione avversa molto grave, tipica del virus della Sars), abbiamo visto che l’epidemia c’è stata solo quell’anno».
Ritorneremo poi sul precedente della Sars del 2003, ma soffermiamoci bene su questo punto, che è decisivo: se non si fosse cominciata una vaccinazione di massa – e il e il primario della divisione Malattie Infettive dell’ospedale di Novara, Garavelli, ha dichiarato nei giorni scorsi che lo si impara al primo anno di specializzazione che non si vaccina mai durante una epidemia, perché si generano mutazioni del virus – la pandemia sarebbe naturalmente evoluta in una endemia e il virus sarebbe divenuto inoffensivo. La strada scelta non fa altro, invece, che prolungare e peggiorare la pandemia. Ascoltiamo le conclusioni della Bolgan: «Ci vuole una presa di coscienza dei singoli, che devono capire da soli che, purtroppo, i vaccini non proteggono dall’infezione e nemmeno dalle complicazioni della malattia. Perché, il fatto che un vaccinato prenda comunque l’infezione, già da solo dovrebbe farci capire che i vaccini non risolveranno il problema. Al contrario, lo peggiorano perché portano allo sviluppo di varianti sempre nuove. Avremo sempre nuove epidemie, che partiranno da ognuna delle varianti che andranno a formarsi. Le persone devono rendersi conto che le varianti sono dovute alla vaccinazione stessa e che, a differenza di quelle naturali (che tendono progressivamente a far finire l’epidemia), le varianti da vaccino prolungano l’epidemia all’infinito».
Questo è allora il dato di fatto, questa è la vera “evidenza scientifica”: con la vaccinazione di massa non si sta debellando l’epidemia per tornare alla normalità, ma la si sta prolungando, se non all’infinito, certamente “a tempo indeterminato”. E forse la si sta anche aggravando, per il fenomeno del “potenziamento del virus” nei vaccinati, che potremmo trovarci di fronte nella prossima stagione autunnale-invernale (rinvio su questo e molto altro alle interviste della dr.ssa Bolgan e al suo sito https://www.mittdolcino.com/2021/04/03/intervista-esclusiva-alla-dottoressa-loretta-bolgan-sono-cosi-necessari-i-vaccini/; https://www.valdovaccaro.com/loretta-bolgan-sui-gravi-pericoli-vaccinali/; https://www.studiesalute.it/salute;).
Del resto, abbiamo già una prima verifica: c’è un paese del Sudamerica che sarebbe molto interessante seguire nel contesto della pandemia. E’ il Cile. Nella prima metà di marzo, i titoli dei giornali e delle agenzie erano di questo tenore: “il Cile, paese record nelle vaccinazioni”, “Il Cile supera Israele come velocità della vaccinazioni”. Negli ultimi giorni, i pochi media che ne parlano hanno dovuto modificare i titoli che ora suonano così: “lo strano caso del Cile”, il “paradosso del Cile”. Di che paradosso si parla? Nella seconda metà di marzo, in coincidenza con l’intensificazione della campagna di vaccinazione, si è registrata una impennata dei contagi e dal 27 marzo è stato disposto un lock down durissimo per l’80% della popolazione, che in pratica è agli arresti domiciliari. I commenti sono che la popolazione si è “troppo rilassata”, proprio per eccessiva fiducia nel potere immunizzante del vaccino. Ma in realtà, il fenomeno era del tutto atteso se si prestava attenzione ai veri studiosi del virus: la formazione di varianti più contagiose non sensibili ai vaccini (in Cile si sono usati Pfizer e Sinovac). Si dirà: e perchè questa crescita dei contagi non si verifica in altri paesi dove c’è stata una ampia vaccinazione, come Regno Unito e Israele? Beh, c’è una variabile (non una variante!) che incredibilmente sfugge ai più: da questa parte del globo siamo all’inizio della primavera, il picco naturale della malattia è passato e ci si avvia all’altrettanto naturale mitigamento stagionale. Nell’emisfero australe, è l’inverso: l’estate è ormai finita da tempo e si sta entrando nel pieno dell’autunno. In sostanza, il Cile ci mostra cosa succederà probabilmente da noi quando avremo numeri di vaccinati significativi e torneranno i primi freddi.
Perchè allora una scelta così irresponsabile come la vaccinazione di massa per questo tipo di virus e ad epidemia in corso? Potrebbe sempre trattarsi di mera ignoranza, ma è impressionante come quanto emerge da questa analisi coincida proprio con l’obiettivo di fondo dell’industria farmaceutica: non già curare e debellare malattie, ma produrle; non già curare i (veri) malati, ma vendere prodotti ai sani; non farlo per un tempo determinato, ma per sempre. Entreremo nella società della vaccinazione continua? Sempre nuove varianti, indotte dai vaccini, porteranno a nuovi vaccini che produrranno nuove varianti, e così via? Ci diranno che dovremo vaccinarci ogni anno, come per l’influenza? E che dovremo rispettare per sempre le “regole” – mascherine, distanziamento, ecc.?
L’obiettivo di Big Pharma, poi, potrebbe non limitarsi ai vaccini: «Non è il Covid l’obiettivo di queste società», dice ancora la Bolgan. «Tutte queste ditte hanno l’obiettivo di farsi autorizzare un nuovo sistema per fare i vaccini e, una volta che sono state autorizzate dall’EMA, questo può essere utilizzato per fare altri tipi di farmaci. Quindi, hanno visto nel fast track, che permette alle industrie di risparmiare tanti soldi, la possibilità di accelerare notevolmente i tempi per autorizzare questi farmaci di nuova generazione, biotecnologici, che altrimenti non avrebbero potuto commercializzare».
Ma torniamo al precedente, davvero illuminante, della Sars del 2003. In quel caso, il vaccino che si stava già sperimentando sugli animali fu bloccato, perché veniva riscontrato il cosiddetto potenziamento della malattia. «I vaccinati non solo non erano protetti (si infettavano come i non-vaccinati), ma sviluppavano anche una polmonite fatale e quindi andavano incontro a delle complicazioni che i non-vaccinati non avevano». Rinunciare al vaccino, allora, fu però una fortuna: l’epidemia si spense da sola.
Nonostante questo importante precedente, stavolta si è seguita la strada opposta, rinunciando – è la denuncia della Bolgan – a studiare il rischio di potenziamento della malattia e avviando una vaccinazione di massa che, oltre ad esporre la popolazione a pericoli del tutto imprecisati e potenzialmente gravissimi, non fa altro che perpetuare la malattia. Il che pare essere proprio l’obiettivo dei principali attori in gioco.
Ritorna la domanda iniziale: perché? Perché lo fa l’industria farmaceutica è forse sufficientemente chiaro. Perché lo facciano altri soggetti deve essere ancora spiegato. Il coinvolgimento degli attori politici è evidente: sono i governi che hanno deciso di percorrere la strada della vaccinazione di massa. E sono i governi che hanno accettato di utilizzare come strumento diagnostico il cosiddetto tampone PCR, il che, come vedremo nella prossima puntata, consente loro di manipolare liberamente i dati del contagio e indirettamente anche quelli dei morti.