In un recente articolo, Marcello Veneziani ha rilevato come, benché la destra abbia generalmente più consensi, il potere in Italia sia da tempo saldamente nelle mani della sinistra. Quello della sinistra è un “regno ideologico, scrive Veneziani, che “usa due armi pubbliche: la gestione degli anniversari e la didattica nelle scuole e nelle università, oltre i relativi mezzi di accesso (concorsi, premi, commissioni, cartelli)”.
Spesso queste due armi si associano e vomitano un fuoco concentrico, come è avvenuto, secondo lo stesso Veneziani, nella ultima ricorrenza del cosiddetto “Dantedì”.
“Se ho ben capito il carattere di Dante Alighieri, anzi il caratteraccio sdegnoso e spigoloso, oggi non sarà contento di questa gran sfilata di carri allegorici in suo onore, da parte di gente che con la sua visione spirituale, politica e morale e con la sua tempra indomita di esule e dissidente ha ben poco a che spartire; e col suo fiero amor patrio ancor meno. L’Alighieri si sentirebbe preso in giro dalla retorica del Dantedì”
Una retorica politically correct che lo scrittore dice di aver sperimentato, nei suoi effetti rovinosi, in una lectio dantesca a scuola, e che purtroppo corrisponde anche alle esperienze ricorrenti di chi nella scuola ci vive e ci lavora:
“gran parte delle domande poste dai ragazzi al termine di una lezione che verteva su ben altri temi e si riferiva a testi, autori e pensieri che trattavano ben altri argomenti, erano concentrate su questi stereotipi: se Dante poteva considerarsi un pacifista, visto che ha fondato l’Italia sulla lingua e non sulle armi; se Dante che poneva la donna su un piedistallo poteva considerarsi a favore dei diritti della donna e dell’emancipazione femminile; se Dante esule può paragonarsi ai migranti e ai clandestini; se Dante in quanto universale ama una società senza confini, rifiuta le appartenenze e auspica l’incontro tra tutte le religioni… E potrei continuare. Non è venuto fuori, per puro caso, il discorso su Dante e gli omosessuali e i trans, ma poco ci è mancato. Di un gigante della letteratura, di un classico della poesia, di un fondatore di civiltà ecco quel che resta: il piccolo lessico dell’attualità, il test se è conforme al politically correct”.
“Arrivo a dire”, conclude Veneziani, “che la preoccupazione principale non è di natura ideologica o politica, e non è solo di natura culturale, ma semplicemente umana. Fa male vedere giovani istupiditi a questo punto dai loro insegnanti e dal clima mainstream che respirano, ripetere a pappagallo gli schemi che vengono loro somministrati; fa male vederli privi di senso critico, incapaci di staccarsi dai parametri del giorno, incapaci di avere curiosità verso altri mondi e altri pensieri, incapaci di ragionare con la propria testa e di capire la differenza tra storia e presente, prigionieri dell’attualità e dei suoi ferrei pregiudizi. E fa male la viltà dei docenti e degli organismi che dovrebbero reagire e non lo fanno. Insomma prima che la dominazione della sinistra e il loro potere culturale, preoccupa la dominazione della stupidità, la somministrazione obbligata dell’idiozia, con dosi di richiamo così massicce che nessuna campagna di vaccinazione dispone”.
Chi ha onestà intellettuale, dovrebbe riconoscere che le parole sferzanti di Veneziani fanno male, ma colgono nel segno, che la sua denuncia è fondata e lancia un grido di allarme sulla deriva della scuola e, di conseguenza, sulla formazione dei giovani e sul futuro del paese.
Anche perché quella che Veneziani definisce “la viltà dei docenti” (e dei dirigenti scolastici, aggiungerei) non ha alcuna giustificazione, ammesso che la viltà possa mai averne: non c’è il fascismo, in Italia, non c’è lo stalinismo; Costituzione e Testo Unico tutelano e garantiscono libertà di insegnamento e autonomia didattica e professionale e anzi, in un certo senso, le prescrivono; gli insegnanti sono dipendenti statali e non sono a libro paga di un partito o di una fondazione privata; il “salario accessorio” che si ricava dai vari “progetti” che trovano finanziamento – innanzitutto dalla UE – che sono promossi da un Ministero che è parte essenziale di quel “regno” di cui parla Veneziani e che molto spesso sono il principale veicolo di indottrinamento politicamente corretto (data una certa resistenza ad esserlo delle discipline tradizionali, nonostante le manipolazioni di molti libri di testo) non cambiano la vita proprio a nessuno. Perché allora i docenti, i dirigenti scolastici, i funzionari ministeriali e degli organi regionali e provinciali del sistema scolastico subiscono e anzi assecondano “la dominazione della stupidità, la somministrazione obbligata dell’idiozia” e addirittura, nelle parole di Veneziani, finiscono essi stessi per “instupidire” i giovani?
Spero che chi nella scuola ci vive e lavora, con impegno e passione, non si ritragga sdegnato e offeso di fronte alla denuncia di Veneziani – come è accaduto quando un paio di anni fa un altro intellettuale, Galli della Loggia, ha pubblicato una analoga denuncia (più documentata e circostanziata perché affidata a un pamphlet e non a un semplice articolo). Spero che queste parole non siano regolarmente rimosse e neanche minimizzate, con l’obiezione che Veneziani esagera, che nella scuola ci sono tanti insegnanti e presidi che lavorano ancora seriamente ed educano i giovani allo spirito critico. Nessuno – e credo neanche Veneziani – vuol negare questo, ma il problema è che l’immagine pubblica e mediatica della scuola la fanno le manifestazioni come il Dantedì – che sicuramente non è neanche la peggiore – la fanno i “progetti”, i Pon, le iniziative di marketing tipo “open day”– e non gli insegnanti che lavorano seriamente in classe e nelle ore curricolari, la fa la didattica “innovativa”, ossia sempre più banalizzata e volgarizzata, e non quella tradizionale (“obsoleta”, non “al passo con i tempi”). E la scuola vera è sempre più confinata in una sorta di riserva indiana.
Spero che chi nella scuola ci vive e ci lavora, con impegno e passione, non si mostri stupefatto da questa denuncia, non dica, come esordì il nuovo Ministro, fresco di nomina, “l’ho imparato adesso”, perché in realtà questa deriva è sotto i nostri occhi da anni e anni.
Spero che chi nella scuola ci vive e ci lavora, con impegno e passione, risponda a Veneziani, con il suo serio lavoro quotidiano, certo, ma anche, finalmente, aprendo un vero dibattito pubblico sullo stato della scuola italiana.