Categorie
Uncategorized

OLTRE LA PAURA: PER UNA SCELTA LIBERA, RAZIONALE E INFORMATA SUL VACCINO

Sul vaccino, come su qualunque altro trattamento sanitario, esiste il diritto ad una libertà di scelta, sancito dall’articolo 32 della Costituzione. Libertà di scelta che deve basarsi sul cosiddetto “consenso informato”, a sua volta fissato nella Convenzione internazionale di Oviedo, sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina (articoli 5-9). La Convenzione è stata ratificata dallo Stato italiano con la legge del 28 marzo 2001, n. 145. Vale forse la pena di ricordare, in un momento in cui si parla indiscriminatamente di “regole” da rispettare, senza far distinzione fra norma e norma, che esiste una gerarchia delle fonti normative e in tale gerarchia convenzioni internazionali suindiritti dell’uomo e Costituzione sono al livello più alto. Ciò significa che non solo una eventuale obbligatorietà del vaccino, per tutti o per specifiche categorie, richiederebbe, in base all’articolo 32 della Costituzione, una legge dello Stato e non sarebbero sufficienti ad introdurla provvedimenti amministrativi, quali dpcm o ordinanze regionali, ma che anche se ciò accadesse, la legge sull’obbligo vaccinale non potrebbe comunque violare il diritto al consenso informato, senza porsi contro la Convenzione sui diritti umani di Oviedo e contro lo stesso articolo 32 della Costituzione nella sua ultima parte (che si omette regolarmente di citare: “la legge [si intende una legge sul trattamento sanitario obbligatorio] non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”). Pertanto il diritto alla libertà di scelta e al consenso informato sui trattamenti sanitari, vaccini compresi, è giuridicamente insormontabile.

Una scelta libera e informata non può, tuttavia, fondarsi sulla paura. Non può, non dovrebbe fondarsi sulla paura del Covid la scelta di vaccinarsi. Non può, non dovrebbe fondarsi sulla paura del vaccino la scelta di non vaccinarsi. La paura in natura e per qualsiasi animale è una reazione adattiva e pertanto non va certo demonizzata, esorcizzata o rimossa. Tuttavia, la paura non va neanche evocata a giustificazione dei nostri comportamenti e delle nostre scelte di fondo. A parte il fatto che una reazione adattiva è pure il coraggio – in natura per ogni animale che sopravvive grazie alla paura, ce ne è almeno un altro che sopravvive grazie al coraggio, ossia alla capacità di non lasciarsi vincere dalla paura – sarebbe radicato nella nostra cultura, da Aristotele in avanti, il concetto che vede nell’uomo un animale sui generis, la cui essenza risiede nella ragione. Vivere secondo natura, nel caso dell’uomo e secondo Aristotele, significa vivere secondo ragione. È peraltro finanche banale ricordare come non possa essere considerata né veramente “libera”, né “informata” una scelta fondata sulla paura. Anzi in questo caso non si dovrebbe neanche propriamente parlare di “scelta”.

Sul vaccino occorrerebbe dunque ragionare. Prima di vaccinarsi occorrerebbe dunque ragionare. Sulla base di quali criteri e parametri? Semplicemente sulla base di quelli che valgono per ogni altro farmaco: il rapporto rischi/benefici.

Partiamo dai benefici. S quelli che ci potrebbe donare il vaccino c’è davvero poco da dire: come ora vedremo si riducono a uno solo e anche dubbio. E’ piuttosto sconfortante, pertanto, registrare l’onda di irrazionalità indotta dai media, che porta molti a credere che il vaccino sia “l’unica via di uscita” e una sorta di siero salvifico e a nutrire aspettative che sono smentite e contraddette dalle stesse fonti ufficiali. Vediamole queste false aspettative.

Il vaccino ci consentirà di tornare alla “normalità”, si dice. Disgraziatamente, sono proprio il Ministero della Salute e le Agenzie del Farmaco – Aifa ed Ema – nonché gli “esperti” del Cts (anche nella loro ultimissima nota che aggiorna le precedenti indicazioni) a dichiarare che i vaccinati non potranno affatto tornare alla “normalità”, ma dovranno continuare a seguire le medesime “regole” dei non vaccinati: mascherina, distanziamento sociale, lavaggio frequente delle mani, quarantena in caso di contatto con positivo.

Anche l’idea di poter riprendere a viaggiare con una sorta di “passaporto sanitario” è allo stato attuale priva di fondamento: l’Oms ha dichiarato proprio l’altro giorno che non ci sono le condizioni per questo tipo di “passaporto” e nell’UE, che pure si è impegnata a valutarlo, gli entusiasmi di alcuni paesi mediterranei sono stati raffreddati da Germania e Francia, riluttanti – vista anche l’alta quota di irriducibili renitenti al vaccini in questi paesi – a imporre discriminazioni ai non vaccinati: al massimo il “passaporto sanitario” consentirà di risparmiarsi il tampone passando la frontiera. E si può prevedere che anche questa agevolazione difficilmente si concretizzerà, data la diffusione delle varianti e la perdurante contagiosità dei vaccinati.

Il vaccino consentirà di “immunizzarsi”, si dice ancora. Anche in questo caso i media fanno molta disinformazione, quando parlano delle persone vaccinate come di “immunizzati”. Ancora una volta vengono smentiti dalle fonti ufficiali – Oms, Governo, Aifa, “esperti” – le quali precisano che al massimo si può parlare di “immunità dalla malattia”, non di “immunità dal contagio”. È la grande scoperta che si può essere portatori di un virus, di un agente patogeno, senza essere malati: chissà perché ce ne siamo dimenticati quando si tratta, non dei vaccinati, ma di coloro che risultano positivi al tampone e che invece vengono trattati come “infetti” da isolare, anche se asintomatici (come accade nel 95% dei casi).

Dunque, il vaccinato potrà continuare a contrarre il virus, con tutte le conseguenze del caso: sarà un potenziale veicolo di contagio per coloro con i quali entra in contatto (per esempio, gli anziani e i fragili di famiglia che si vorrebbero proteggere vaccinandosi) e sarà sottoposto a quarantena come tutti gli altri “positivi asintomatici”.

Si potrebbe, però, replicare che tutto ciò finirà quando sarà raggiunta, grazie al vaccino, l’”immunità di gregge”. Disgraziatamente, anche questa aspettativa sembra che poggi sulle sabbie mobili. Infatti, non sappiamo niente sulla durata dell’immunità (Pfizer, Moderna, Astra Zeneca, Janssen dichiarano che essa non è ancora nota), ma nessuno ipotizza che possa arrivare oltre i nove mesi. E si parla di una immunità raggiunta dopo la seconda dose del vaccino (dal quindicesimo giorno dopo la seconda dose per Astra Zeneca). Ciò significa che, anche se ci fosse l’”accelerazione” promessa da Draghi e dal Generale Figliuolo, è presumibile che in autunno e prima della fine del 2021 quando la maggior parte della popolazione avrà appena incominciato a ricevere la seconda dose (se tutto va bene) si dovranno rivaccinare le prime categorie “immunizzate”. Resterebbe sempre una quota rilevante di popolazione non ancora o non più “immunizzate”, a cui vanno sempre aggiunti il 15 % costituito dai minori di 16 anni e tutti coloro che non potranno (per allergie note, immunodeficienze o altro). E questo anche se tutti i vaccinabili si convincessero a vaccinarsi o fossero obbligati a farlo (cambiando la nostra civiltà giuridica).

A rendere utopistica l’attesa dell’immunità di gregge è poi, come evidenziano diversi studiosi, la diffusione delle cosiddette “varianti”. Non si tratta né di un accidente sfortunato, né di un fenomeno temporaneo e tantomeno imprevisto. Ci è stato detto fin dall’inizio – sempre dalle solite fonti ufficiali e  non certo dai no-vax – che questo è un coronavirus e che come tutti i virus, ma molto più di altri (quelli definiti “stabili”), ha la tendenza a mutare per aggirare le difese immunitarie (e l’immunità da vaccino). I coronavirus, tanto per intenderci, sono responsabili di buona parte dei raffreddori: sono millenni che conviviamo col raffreddore, senza che si sia mai raggiunta una “immunità di gregge” e senza che si sia mai trovato un vaccino efficace (come non lo si è mai trovato per nessun coronavirus). E la presenza di molteplici varianti del raffreddore fa sì che possiamo contrarlo – senza immunizzarci mai – anche più volte nella stessa stagione invernale. Al di là di questo discorso, teorico, ma estremamente plausibile, c’è poi la realtà di fatto: sono già presenti numerose varianti del Covid e non è nota l’efficacia degli attuali vaccini contro ciascuna di queste varianti. È plausibile che si debbano “inseguire” le varianti con continui aggiustamenti dei vaccini o addirittura con nuovi vaccini. Lanciarsi in questo inseguimento, significherebbe però entrare nell’era della vaccinazione continua, nella quale l’”immunità di gregge” resterà un miraggio, e nella quale i vaccini non garantiranno alcun ritorno alla normalità. Il ritorno alla normalità evidentemente dovremo conquistarcelo entrando in un’altra ottica, l’ottica del rafforzamento naturale delle difese immunitarie, della cura – che esiste se si va oltre il “tachipirina e vigile attesa”, quando questo potenziamento non basta, della protezione dei soggetti fragili e comunque della accettazione di una quota di rischio (come accade, come è sempre accaduto, per ogni altra malattia, incidente o accidente)

Veniamo quindi all’unico beneficio che pare possa essere donato dal vaccino: si dovrebbe essere immuni, se non dal contagio, quantomeno dallo sviluppare la malattia in forma grave. Questa “efficacia” del vaccino è però comunque limitata nel caso di AstraZeneca, perché l’Ema la ha valutata al 59,5% (valutazione confermata dall’Aifa) e perché, come si legge nello stesso foglio illustrativo del prodotto, riportato dall’Aifa, “i dati degli studi clinici attualmente disponibili non consentono una stima dell’efficacia del vaccino in soggetti di età superiore ai 55 anni”. Il Ministero della Salute ha poi emesso delle circolari per autorizzare la somministrazione di AstraZeneca in soggetti di età superiore, sulla base di “evidenze scientifiche” che non sono state però documentate.

Quanto a Pfizer, la sperimentazione mostrerebbe una efficacia del 95%, ma in realtà questo dato riguarda i soggetti con meno di 75 anni (ed anche in essi è stata messa in discussione da articoli comparsi sull’autorevole British Medical Journal), poiché nel campione i soggetti con età superiore erano troppo pochi per fornire dati statisticamente significativi (rimando a questo articolo: https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2034577?fbclid=IwAR39pfEvuML4JdYglnBRJSUMknaAc_JF_WCDr59L_DhwvuTLvZvxJ1Dq_y4) .

Tale dubbia e limitata efficacia nel prevenire le forme gravi della malattia resta, comunque, l’unico beneficio. Esso, peraltro, va ovviamente valutato in base al rischio effettivo di contrarre il Covid in forma grave. E su questo rischio disponiamo, invece, di dati consolidati, dopo un anno di pandemia. Al 1° marzo i pazienti deceduti per Covid (forse sarebbe meglio dire con tampone positivo) di età inferiore ai 50 anni sono solo 1055 su 96.141, ossia l’1% del totale dei morti (dati dell’Istituto Superiore di Sanità). Quelli di età inferiore a 40 anni sono 254 in tutto, su quasi 100.000.

I decessi restano ancora molto rari fra i cinquantenni (50-59 anni), e sono precisamente 3115, e sono in numero limitato anche nei sessantenni (9079), mentre crescono vertiginosamente a partire dai 70 anni (23.311, nella fascia 70-79) e soprattutto a partire dagli 80 anni (59.589 deceduti erano appunto ultraottantenni).

L’età media dei morti di Covid (o con Covid) è sostanzialmente identica all’età media dei morti per ogni altra causa, ossia alla durata media della vita in Italia, ed è superiore agli 80 anni.

Inoltre, il 66,6% dei pazienti deceduti, in un campione analizzato dall’Iss, presentava tre o più patologie concomitanti e solo il 3,1% non aveva alcuna patologia pregressa.

Ciò vuol dire che l’unico vantaggio individuabile nel vaccino dovrebbe essere preso in considerazione soprattutto da soggetti ultrasettantenni e con delle patologie, mentre esso pare un beneficio assai evanescente per tutti gli altri.

Dall’altra parte ci sono i rischi del vaccino. Ci viene detto e ripetuto, da ministri, “esperti” e giornali che “i vaccini sono sicuri ed efficaci”. Abbiamo esaminato la questione dell’efficacia. E la sicurezza? A parte il fatto che nessun farmaco può mai considerarsi assolutamente sicuro – chi ha studiato il greco potrebbe ricordare anche l’etimologia della parola farmaco – e che per ogni farmaco viene sempre valutato il rapporto rischi/benefici, queste professioni di fede sono smentite, ancora una volta, dalle fonti ufficiali.

In primo luogo, bisognerebbe chiarire che i vari vaccini hanno ricevuto una autorizzazione provvisoria alla commercializzazione, “subordinata a condizioni”, con una procedura eccezionale motivata dall’emergenza pandemica (“a questo medicinale è stata rilasciata un’autorizzazione “subordinata a condizioni”. Ciò significa che devono essere forniti ulteriori dati su questo medicinale” si legge nel foglio illustrativo di tutti i vaccini finora approvati). L’autorizzazione definitiva arriverà – se arriverà – solo nel 2023, dopo che le diverse case farmaceutiche avranno prodotto ulteriori dati. È quindi del tutto corretto affermare che chi si vaccina si presta volontariamente a una sperimentazione, presta volontariamente il suo corpo a una sperimentazione (altro punto, ma decisivo, che rende impossibile imporre il vaccino a chicchessia, anche con una legge e almeno fino al 2023).

Veniamo però ai rischi specifici e concreti di questa sperimentazione di massa.

Per quanto possa sembrare sorprendente in questo momento, vorrei andare anche oltre la questione delle “reazioni avverse” immediate (ossia quelle che si verificano dopo poche ore o pochi giorni dalla somministrazione), anche se effettivamente i casi di “morte sospetta”  (che ci sono anche per Pfizer e non solo per Astra Zeneca, anche se probabili ragioni di ordine economico e geopolitico hanno portato la Germania a mettere in discussione Astra Zeneca e non Pfizer, inducendo gli altri paesi e la stessa Ema a seguirla e a sospendere il vaccino) potrebbero mettere in discussione anche l’elemento che pareva più scontato, la sicurezza dei vaccini nel breve termine. Pareva scontato, perché almeno le reazioni nei giorni successivi (fino a 45) sono state esaminate negli studi sperimentali. In realtà, anche a prescindere dalla valutazione dei casi di trombosi che si sono verificati dopo la vaccinazione con Astra Zeneca, a leggere con attenzione i fogli illustrativi dei vaccini risulta chiaro che la loro sicurezza è assai dubbia anche sul piano degli effetti collaterali a breve termine. Per ciascuno di essi, si citano infatti una serie di reazioni avverse, la cui frequenza è classificata da “molto comune” a “rara” (si tratta di sintomi lievi o di modesta gravità), ma si invita anche a segnalare altre reazioni, non comprese nell’elenco. Soprattutto, Pfizer e Janssen (meglio conosciuto come Johnson & Johnson), dichiarano che la possibilità e frequenza di una “reazione allergica grave” è “non nota, in base ai dati attualmente disponibili”.

I pericoli che però andrebbero valutati con una attenzione ancora maggiore e che invece vengono del tutto ignorati nel dibattito pubblico riguardano gli effetti avversi sul medio e sul lungo periodo. Da questo punto di vista, affermare che i vaccini siano “sicuri” è semplicemente una irresponsabile menzogna, che denota ignoranza o disonestà intellettuale.

Nello specifico, sempre dai fogli illustrativi, pubblicati sul sito dell’Aifa e su quello dell’Ema, si evince che non ci sono dati sulla “genotossicità” e sul “potenziale cancerogeno”. Il che significa che non sappiamo nulla sulla eventualità che i vaccini, a distanza di tempo e anche di anni, possano provocare malattie autoimmuni o tumori. Non sono stati poi sufficientemente studiati, nei ratti, gli effetti su gravidanza e fertilità.

In conclusione, se la scelta di vaccinarsi o di non vaccinarsi deve essere libera, razionale e informata, allora i soggetti che hanno almeno 70 anni e soprattutto quelli che soffrono di altre patologie – tra quelle che l’Iss indica più frequentemente correlate ai morti per Covid – dovrebbero considerare l’efficacia – per quanto dubbia e limitata – del vaccino nel proteggere dagli effetti gravi della malattia.

Invece, tutti gli altri – i giovani, senz’altro, e coloro che hanno meno di 70 anni, specie se non hanno altre patologie – dovrebbero prendere in serissima considerazione i rischi – imprecisati, non valutabili, ma potenzialmente gravissimi – eventualmente legati proprio al vaccino.

In un prossimo articolo, cercherò però di esaminare anche gli aspetti “etici” del vaccino e quindi della scelta da effettuare: anche su questo vi è infatti un concerto assordante, quanto mistificante.